Carissimi,
Papa Francesco il 24 dicembre ha aperto la Porta Santa della Basilica in San Pietro e ci ha introdotti nel Giubileo ordinario del 2025. È stato emozionante vedere quella porta aprirsi, anzi spalancarsi per tutti noi. «Io sono la porta, dice Gesù, se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (Gv 10,9). “Egli è in grado di dare un cuore a questa terra e di reinventare l’amore laddove pensiamo che la capacità di amare sia morta per sempre” (Dilexit nos, 218). Si è aperta una porta e siamo invitati ad entrare. Porte che si aprono, ma anche porte che si chiudono. Porte sbattute con rancore, porte socchiuse con speranza. Porte che sbarrano l’accesso, porte che mostrano nuove possibilità. Porte pubbliche, porte private. Porte usate da tutti, porte utilizzate da pochi. La nostra vita è continuo passaggio attraverso porte che segnano un dentro e un fuori. Non è più tempo di stare sulla soglia. Chi passa per la Porta che è Cristo, cenerà, farà festa, dimorerà in casa con lo Sposo, luogo dell’intimità. Non è più tempo per rimanerne fuori solo per paura o per orgoglio. È tempo di entrare, è tempo di gioire. Giubileo, appunto.
Ci troviamo qui riuniti stasera, come Chiesa diocesana, presbiteri, religiosi e religiose, diaconi, seminaristi e comunità tutte, a lodare e ringraziare insieme il Signore, perché anche la nostra chiesa particolare viva un momento di gioia e di esultanza per l’inizio dell’anno giubilare dedicato alla Speranza. Siamo qui perché ognuno di noi diventi una porta aperta, anzi spalancata a Dio e ad ogni fratello che senza dover bussare, aspettare, trovi in noi piena e gioiosa accoglienza. Incomincia, dunque, anche per noi il Giubileo, nella I domenica dopo il Natale, Giorno del Signore e Pasqua della settimana, nella quale si offre uno spazio significativo alla Sacra Famiglia.
Consentitemi, in questa assemblea liturgica, un saluto cordiale al Vicario Generale don Salvatore Vergara in rappresentanza di tutti i sacerdoti. Estendo i miei deferenti saluti alle illustri autorità civili e militari qui convenute.
Insieme, famiglia di Dio di San Marco Argentano – Scalea, ci mettiamo in cammino come pellegrini di Speranza, nelle vicende della storia, inviati dal Signore per annunciare, con la nostra vita cristiana, la “bella notizia” dell’amore di Dio-Padre e la nostra disponibilità a condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di questa umanità, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (Gaudium et Spes, 1)”. “Spes non confundit”, “La Speranza non delude perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori”; così San Paolo scrive ai fratelli della comunità di Roma ai quali mostra il dono della grazia di Dio come primo frutto del suo amore infinito. L’amicizia con il Signore, intesa come possibilità di partecipare alla sua vita divina si esprime nell’esistenza dei credenti, attraverso la comunione con il Figlio e lo Spirito Santo. Noi siamo in questa condizione, pur non avendo meriti da esporre. Tuttavia, avertiamo il bisogno di testimoniare questo dono che abbiamo ricevuto. Esso è foriero di quella grazia che ci mostra prodigiosamente la virtù della Speranza. Quella del cristiano è una certezza che non si fonda sull’inconsistenza dei fatti futuri, ma al contrario si radica nella verità di ciò che già si è realizzato a nostro favore. Con il dono dello Spirito Santo, Cristo ha riversato nei nostri cuori il suo amore. Comprendiamo allora che siamo di fronte ad una realtà, quella della Speranza così intesa, che trova ragione nella Parola di Dio, nella fede per la vita eterna e nel tanto bene presente nel mondo, nelle realtà ecclesiali che serviamo, nei Paesi dell’intero territorio diocesano: c’è Speranza dove vince la pace, dove è sostenuto il desiderio di generare, dove l’ammalato e l’anziano sono custoditi, dopo il povero non sente il disagio di ricevere aiuto, dove l’afflitto trova consolazione, dove il carcerato trova chi lo visiti, dove Cristo è riconosciuto nel volto di ogni sorella e di ogni fratello: in queste realtà c’è la Speranza. E ancora, possiamo trovare barlumi di Speranza dove i giovani non sono lasciati scivolare in baratri oscuri o spinti a gesti autodistruttivi, dove il migrante è accolto e chi vive in condizioni di disagio incontra opportunità che gli restituiscono fiducia, dove i beni della terra non restano a pochi privilegiati, dove si riconvertono le spese militari per eliminare finalmente la fame e la guerra, dove la riconciliazione rinnova le relazioni: dove il Vangelo della Misericordia, dagli amboni delle chiese si concretizza nella vita di ogni giorno.
La famiglia di Nazareth, che oggi è posta al cuore di questa liturgia domenicale, sia esempio concreto per tutte le nostre famiglie. Gesù, Maria e Giuseppe sono per ogni credente, e specialmente per le famiglie, un’autentica scuola del Vangelo. In essi ammiriamo il compimento del disegno divino di fare della famiglia una speciale comunità di vita e d’amore, apprendiamo che ogni nucleo familiare cristiano è chiamato ad essere chiesa domestica, per far risplendere le virtù evangeliche e diventare fermento di bene nella società. Abbiamo ascoltato nel Vangelo di Luca il celebre episodio dello smarrimento e ritrovamento di Gesù nel Tempio di Gerusalemme. È una pagina che si presta a differenti interpretazioni; questa sera, insieme a voi, la vorrei proporre come esempio di cammino che la nostra chiesa diocesana vuole intraprendere: quello che ci rende tutti Pellegrini di Speranza. San Luca racconta che Gesù, Maria e Giuseppe si mettono in cammino. Un pellegrinaggio che annualmente la famiglia di Nazareth vive per recarsi a Gerusalemme, luogo in cui si celebrano i riti prescritti dalla Legge giudaica. Questa volta Gesù sale quando è ormai dodicenne, cioè maturo e consapevole di poter osservare anch’egli la Legge. Un viaggio che improvvisamente si trasforma in un’angosciosa ricerca perché Gesù, creduto dai suoi genitori nella comitiva di ritorno, si smarrisce improvvisamente. Il cuore dei genitori si riempie di angoscia e paura. Come non sentire l’eco delle parole di Sant’Agostino: “Il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te”; si, carissimi, il cuore umano – nel suo biologico movimento di sistole e diastole – avverte un arresto improvviso – quando si imbatte nella paura, o peggio ancora nella disperazione, di sentirsi distanti dal contatto con Dio. Lasciamo che il nostro cuore, a volte freddo e gelido, impermeabile ad ogni battito di commozione, si sciolga nel calore della misericordia di Dio. In questo anno Giubilare sarebbe bello accostarsi più frequentemente al sacramento della riconciliazione, per sperimentare la gioia del perdono. Saremo, allora, disponibili a parole e gesti di una fede che si fa perdono, per le offese arrecate o ricevute, si fa com-passione, per vincere l’indifferenza, si fa delicata e affettuosa attenzione verso quanti cadono e hanno bisogno che qualcuno li aiuti a rialzarsi. La strada della Speranza è la stessa che hanno percorso Giuseppe e Maria, a ritroso, per riornare a Gerusalemme e lì ritrovare Gesù, seduto ad ammaestrare i Dottori della Legge. Maria e Giuseppe invece di accusarsi reciprocamente nel trovare il colpevole dello smarrimento, insieme, con umiltà ritornano indietro e trovano il bambino. Questa è la via, non perdere tempo a trovare il colpevole o cosa non ha funzionato, ma avere l’umiltà di saper camminare insieme e tornare indietro quanto è necessario.
La speranza diventi per tutti noi strada di beatitudine e di felicità. La nostra Chiesa diocesana, i nostri Paesi, le istituzioni e le autorità civili e militari, le associazioni, gli ospedali, le case per gli anziani e per i disabili, le famiglie e le scuole, gli ambienti di lavoro, possano diventare luoghi in cui coltivare e generare la Speranza cristiana. Ci auguriamo di vivere un anno straordinariamente bello, così come la fede cristiana o l’amore per ogni nostro simile sapranno orientarci, per essere donne e uomini capaci di provare e trovare Speranza. Ogni Giubileo vive e si celebra nel suo tempo e si deve far carico dell’umanità ferita annunciando la forza salvifica della Resurrezione e, in particolare quest’anno, della “Speranza che non delude”.
Papa Francesco nell’omelia tenuta durante la Veglia di Natale ha sottolineato che “per ritrovare la speranza perduta, rinnovarla dentro di noi, seminarla nelle desolazioni del nostro tempo e del nostro mondo, occorre muoversi “senza indugio”. Non indugiare, non rallentare il passo, ma lasciarsi attirare dalla bella notizia. Se Dio viene, anche quando il nostro cuore somiglia a una povera mangiatoia, allora possiamo dire: la speranza non è morta, la speranza è viva, e avvolge la nostra vita per sempre”. “La speranza cristiana è proprio il “qualcos’altro” che ci chiede di muoverci “senza indugio”. A noi discepoli del Signore, infatti, è chiesto di ritrovare in Lui la nostra speranza più grande, per poi portarla senza ritardi, come pellegrini di luce nelle tenebre del mondo”
Mentre ci affidiamo all’intercessione di San Marco Evangelista, San Francesco da Paola, i Santi Martiri Argentanesi, e alla materna e premurosa custodia della Beata Vergine del Pettoruto, iniziamo l’anno giubilare come un invito pressante alla conversione e alla riconciliazione con Dio e tra di noi. Sarà un tempo nel quale potremo sperimentare e gustare la presenza consolante del Padre che rinnova ogni cosa e rende possibile, già da ora, ciò che umanamente appare impossibile. Desidero, pertanto, invitavi a partecipare a questo anno di grazia, come popolo di Dio pellegrinante verso la Gerusalemme celeste, consapevole del grande dono della Fede, fondamento di quella Speranza che è il dono più grande che possiamo donare a piene mani e con generosità a chiunque incontriamo sulla nostra strada. Iniziare insieme questo cammino ci aiuterà a riscoprire che anche nella nostra terra di Calabria c’è ancora un popolo numeroso che appartiene al Signore e al Suo Regno e che, pur in mezzo a tante difficoltà, non si avvilisce e non si rassegna, ma anzi accoglie e vive la missione che il Suo Signore gli ha affidato: essere la luce del mondo e il sale della terra. Concludo questo pensiero omiletico con un augurio che diventa preghiera e lo faccio come Papa Francesco ha concluso il Sinodo dei Vescovi, dove ha citato la bellissima preghiera – Il ballo dell’obbedienza – di Madeleine Delbrêl. Facciamo nostro lo stesso desiderio: che le nostre comunità ritrovino, insieme, il gusto di «danzare, seguire, essere gioiose, essere leggere, e soprattutto non essere rigide». Per annunciare al mondo il Vangelo «non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine, come un ballo» a cui l’umanità tutta è invitata.
«Signore, vieni ad invitarci» Amen
† Stefano Rega