Chiusura anno Scuola di Formazione Teologica “Mons. Agostino Castrillo”

01-06-2024

Pensiero omiletico: Chiusura anno Scuola di Formazione Teologica “Mons. Agostino Castrillo”

Carissimi,

la celebrazione eucaristica ci vede riuniti per esprimere un sentimento di gratitudine corale che eleviamo al Signore per il percorso accademico appena concluso. La sintesi della nostra vita si realizza tra due estremi: veniamo da Dio e ritorneremo a Lui. Così vogliamo definire questo momento di ringraziamento che ci vede uniti attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia: abbiamo iniziato da Dio e vogliamo concludere con Lui. In fondo, è questo il senso ultimo della teologia: scoprire attraverso la luce della conoscenza intellettuale il nostro essere inseriti nel mistero divino, comprendere quale sia il posto che Dio occupa nei nostri cuori e quale sia il nostro posto nel suo cuore. Il percorso teologico per i laici è una delle tante intuizioni che il Concilio Vaticano II ha contribuito ad esternare attraverso i suoi documenti per favorire una sempre più adeguata inculturazione della fede e una maggiore consapevolezza della fede cristiana che riponga al centro il ruolo del laicato, valorizzandone i carismi che il Signore suscita nella sua multiforme sapienza. La scuola teologica si presenta come un nuovo linguaggio che permetta una più facile comprensione del sapere teologico e una migliore partecipazione, sempre più attiva, alla celebrazione eucaristica, centro della vita dei credenti, luogo di incontro tra Dio e l’uomo. La sfida che la chiesa ha intrapreso in questi ultimi anni è quella di arrivare non ad una conoscenza intellettuale di Dio, ma ad una “teologia”, ad un parlare a Dio e di Dio in un contesto storico che rischia di relegare la sfera divina ad un ruolo marginale o addirittura inconsistente. Sento nel cuore di dover ringraziare il corpo docente, a partire da don Giovanni Mazzillo, Direttore della Scuola e al Segretario don Roberto Oliva. Insieme a loro, avverto il desiderio di ringraziare tutti i sacerdoti e i laici che si sono prodigati ad offrirvi una testimonianza di fede credibile attraverso l’insegnamento che avete ricevuto. Credo di poter affermare con estrema certezza che la Scuola Teologica di questa Diocesi può vantare un iter formativo ben compaginato e strutturato; le materie proposte coinvolgono in una ricerca appassionata del mistero di Dio, impegnano le vostre energie nel compito arduo di saper tradurre le idee in azioni concrete, integrano la promozione di una conoscenza che non sia astratta, ma che sia umanamente possibile perchè innestata nelle pieghe della storia del vissuto concreto di ogni uomo e donna che nella fede scorgono le tracce della strada che portano al raggiungimento di una felicità piena e duratura. Papa Francesco, nell’Evangelii Gaudium, ci esorta ad accogliere l’annunzio del Vangelo come un inno alla gioia e alla felicità. “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che s’incontrano con Gesù. Con Lui sempre nasce e rinasce la gioia. Questa gioia viene collocata in contrapposizione al grande rischio che il mondo attuale corre: cadere in una tristezza individualistica”. Il compito che si addice ai voi insegnanti è quello di rendere al Vangelo un servizio generativo: siete chiamati a generare la buona notizia del vangelo. Lo stile didattico sia quello incentrato su una teologia incarnata e radicata nella vita, lungi dal trasformarsi in una ricerca elitaria, autoreferenziale e cattedratica. La ricerca teologica diventa, così, un grande rimedio alla tentazione latente in ciascuno di noi, della scelta preferenziale di incamminarci da soli e di non vivere nella comunione di un corpo ecclesiale. Questo rischio all’isolamento e all’individualismo è rotto da un’appassionata ricerca teologica che ci porta a scoprire insieme il valore della comunione come luogo ecclesiale in cui sperimentare l’incidenza di Dio nella nostra vita. Se Dio è amore – come ci ricorda la più nobile definizione teologica giovannea – solo la comunione ecclesiale può farci appropriare di quell’identità divina che la teologia ha saputo declinare in termini di ricerca scientifica e che la nostra vita ci chiede di testimoniare per “dare ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1Pt 3,15). Rendere ragione della speranza cristiana è il compito che spetta a ciascun battezzato, è il dovere che ci spinge ad essere coraggiosi testimoni di un amore ricevuto che richiede di essere ridonato. Ma per “rendere ragione” occorrono la disposizione corretta e gli strumenti adeguati così da non divulgare notizie e informazioni copiate e incollate, svuotate di senso e prive di fondamento scientifico, scollegate da quella fede che illumina le menti e rischiara i cuori. Tutto ciò comporta una fatica non indifferente. Per alcuni di voi oggi termina il ciclo del triennio teologico, per altri si conclude il primo o il secondo anno formativo. Per questo deponiamo sull’altare i frutti di grazia che abbiamo ricevuto nel tempo della semina e che ci auguriamo di poterli raccogliere, quando e se il Signore lo desidera. Ci sentiamo sollecitati dalla Parola di Dio che abbiamo ascoltato. Vorrei soffermarmi insieme a voi a riflettere sul termine che Paolo utilizza nella Prima Lettura. Egli si rivolge ai fratelli di Corinto esortandoli a non rendere vana la grazia di Dio perché sono “collaboratori” suoi. Quanto è significativo sentirci coinvolti come collaboratori della grazia celeste. Tutta la nostra vita assume una valenza qualitativa superiore se ci consideriamo collaboratori di un disegno divino in cui tutti ci sentiamo coinvolti, protagonisti e partecipi delle esigenze richieste per la causa del Regno di Dio. Lavorare a favore suo richiede da parte nostra esemplarità e responsabilità. Non possiamo tirarci indietro dinanzi ad una posta in gioco così alta, quella di sentirci partecipi nell’evangelizzazione, nella pastorale ecclesiale, nell’ambito lavorativo, nella vita familiare: lì dove il Signore ci pone siamo chiamati a diventare collaboratori di un ministero di grazia. Se siamo tali, possiamo contare sulla fiducia che Egli per primo ripone in noi. Da questa fiduciosa speranza possiamo trarre forze e fermezza in ogni circostanza, avversa o favorevole. Paolo ci presenta dettagliatamente tutte le condizioni sfavorevoli del ministero (disonore, cattiva fama, venire considerati impostori, puniti, uccisi, poveri), non per gettarci nello sconforto o nella disperazione, ma per mostrare che il cristiano è l’uomo dell’altra faccia della medaglia. Oltre la prospettiva negativa ci sarà sempre un risvolto positivo che ci mostra profeticamente la sorte benevola a noi riservata. Così comprendiamo il risvolto positivo dei termini utilizzati da Paolo: “puniti, ma non uccisi, come moribondi, ma invece viviamo, afflitti, ma sempre lieti, poveri, ma capaci di arricchire altri, gente che non ha nulla e invece possiede tutto”. In un di più di amore che riqualifica tutta la nostra esistenza di credenti, le cui esigenze sono bene espresse dalle antitesi del celebre discorso della Montagna che si trova al quinto capitolo del Vangelo di Matteo. Questa sera abbiamo ascoltato cinque antitesi che ci ricordano l’arduo cammino del discepolato. Non per un meno, ma per un di più: questa è la via del Vangelo! Il meno della Legge antica si può colmare con il di più che esige la Misericordia. La giustizia di Gesù non è quella umana che risolve le contese con la vendetta e arresta le ingiustizie in un resoconto in cui saldare i debiti accumulati per le colpe commesse. Amore, perdono e misericordia sono le armi della giustizia divina, frutto di quell’amore che è incendiato sulla croce ed è esploso nel sepolcro con la risurrezione. È la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della misericordia sulla vendetta. Su questa via di Gesù, l’unica razionale, siamo coinvolti anche noi, come viandanti e pellegrini in cerca di una verità che in Gesù diventa la nostra vita, la nostra unica possibilità. La Teologia ci insegna a metterci in ginocchio e a dialogare con Dio come lo stesso Gesù ci ha insegnato quando trascorreva le sue notti in ascolto della voce del Padre. Da questa relazione, come da una sorgente, attingiamo la forza per incarnare le Beatitudini evangeliche così da poter essere collaboratori credibili nel contesto in cui viviamo e operiamo, sorretti dalla forza incessante della sua grazia.