Festa della Madonna della Cinta

07-05-2023

Pensiero omiletico 

Una parola è risuonata qui, oggi, in mezzo a noi! È quella dell’Apostolo Pietro che nella seconda lettura si rivolge alla comunità dei cristiani esortando con queste parole: “Rivestitevi tutti di umiltà”. Quale significato assumono queste parole e cosa suggeriscono alla nostra vita di cristiani? Rivestirsi di umiltà significa riappropriarsi della nostra originaria identità. L’umiltà ci rimanda all’humus, alla terra dalla quale Dio ha plasmato l’uomo, reso poi vivente con il soffio del suo Spirito. Rivestirsi di umiltà significa far risuonare nei nostri cuori la consapevolezza adamitica di essere creature plasmate ad immagine di Dio. La “buona notizia”, l’euanghélion, il cuore del Vangelo che l’Evangelista Marco ci ha trasmesso e di cui siamo o desideriamo diventarne testimoni, è racchiusa in una verità da proclamare con parresìa e gioia: siamo figli Dio. Con parresìa perchè avvertiamo la necessità e l’urgenza di consegnare una verità che investe tutta la nostra vita; con gioia perchè è la sola caratteristica che rende bella ed accogliente la notizia da trasmettere. Questa occasione ci vede riuniti nella Chiesa Madre per solennizzare il Santo Patrono della nostra amata Diocesi; insieme a me, Pastore, a cui è richiesto di “prendersi cura del gregge di Dio, sorvegliandolo non perchè costretto, ma volentieri, secondo Dio, non per brama di ricchezze, ma con generosità (cfr. 1Pt 5,2), si uniscono coralmente i sacerdoti di questa diletta Diocesi, i religiosi, le religiose, i cari seminaristi, i fedeli laici, le autorità civili e militari, coloro che partecipano spiritualmente assicurando il dono prezioso della preghiera, per formare, come ricorda Paolo nella lettera agli Efesini “un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione”. Realizzare la propria vocazione è la sana provocazione che Pietro ci consegna nella seconda lettura. Si concretizza il disegno che Dio ha pensato per ciascuno di noi attraverso un lento e faticoso cammino di realizzazione della propria umanità. Questa sfumatura antropologica ci permette di comprendere che la vocazione cristiana non sia un effimero sogno divino che non trovi un terreno umano dove fecondare la propria realizzazione. Avvertiamo l’urgenza di rinnovare continuamente la nostra catechesi, riducendo sempre di più la distanza tra il divino e l’umano, svestendoci di forme religiose farisaiche e utilitaristiche, eliminando pregiudizi ed etichette che si appiccicano con frenetica disinvoltura, trasmettendo testimonianze credibili al posto di idee preconfezionate e vuote di senso. Il rinnovamento ecclesiale passa attraverso la trasformazione della nostra vita. Ed è in quest’ottica che possiamo comprendere l’esortazione di Pietro ad “umiliarsi sotto la mano potente di Dio” (cfr. 1Pt 5,6): non si tratta della sottomissione che il padrone esercita sullo schiavo, ma di un cammino liberante di un padre che suggerisce al figlio un’obbedienza paziente e amorevole. In questo cammino di liberazione e di appropriazione dell’identità filiale siamo coinvolti anche noi, in tutte le sfaccettature della vita. Essa non ci risparmia prove, tribolazioni e la lotta contro “il leone ruggente che va in giro in cerca della preda da divorare” (cfr. 1Pt 5,9). Pietro suggerisce di “resistere”, “antìstete” con lo stesso verbo che viene utilizzato più volte da Giovanni nel suo Vangelo: nel descrivere l’atteggiamento di Maria che “stava” ai piedi della croce, nell’accorata preghiera sacerdotale di Gesù che invita i suoi “a restare in Lui” e nella richiesta, sempre rivolta ai suoi al Getsemani, di pregare intensamente per non entrare nella tentazione. Con questa intensità emotiva, oggi Pietro ci suggerisce l’antidoto alla fuga di fronte allo scandalo della croce: restare saldi nella fede. In questi giorni la sinodalità espressa dalla partecipazione delle comunità parrocchiali che si sono alternate nel solenne novenario è stata espressione concreta di questa fede e ha arricchito di copiosi doni celesti la condivisa esperienza della partecipazione alla festa del Santo Patrono. Non lasciamo disperdere nei terreni aridi e infruttuosi i doni di grazia che il Signore ha seminato in abbondanza nei cuori e alimentiamo nelle nostre comunità il desiderio di coltivare la ricerca continua dell’unità, della comunione e della pace. 

 La pace, l’unità e la comunione sono i doni del Risorto che vogliamo accogliere e celebrare nella vita per trasmettere la buona notizia del Vangelo che passa inevitabilmente attraverso la nostra testimonianza. Ce lo ricorda la prima lettura degli Atti degli Apostoli che riporta il discorso di Paolo nella sinagoga ad Antiochia di Pisidia. L’Apostolo delle genti ci ricorda che il nostro compito primario è quello di trasmettere “la parola di salvezza” (cfr. Atti 13,26). Dio si fida e si affida a noi, strumenti precari e talora inefficaci, ma utili e preziosi ai suoi occhi, per collaborare insieme a Lui a suscitare nei cuori di chi incontriamo la sete di verità. In questa delicata e preziosa testimonianza vogliamo rinnovare il nostro impegno a pregare il “padrone della messe perchè mandi operai nella sua messe”. Avverto l’urgenza, insieme a voi sacerdoti, alle vostre comunità, alle famiglie, di impegnarci in una pastorale vocazionale attiva, coinvolgente e convincente, testimoniando la bellezza della chiamata alla vita consacrata. Questo evento di grazia che ci tiene uniti nella solennità del San Marco Evangelista sia un segno concreto del nostro impegno per le vocazioni. Il Vangelo penetri i cuori di tanti giovani, rafforzi il cammino dei nostri seminaristi, susciti il desiderio alla sequela, affinchè non manchino le risposte mature alla chiamata di un Dio che non cessa di promettersi fedele dispensatore di grazie celesti a chi gli apre il cuore con libertà e prontezza di spirito. Il dono prezioso da trasmettere è la buona notizia che la promessa di Dio si “è adempiuta”. Sempre Paolo, ci ha ricordato che la salvezza non è marginale ed estranea al nostro vissuto. Il brano degli Atti lo rivela attraverso una sfumatura testuale che potrebbe passare inosservata. Essa ci mostra l’iniziativa di Dio che agisce sempre a favore dell’uomo. Paolo dice “emìn”, “a noi” è stata fatta la promessa che si è realizzata con la Risurrezione. Con le parole del Salmista eleviamo la nostra gratitudine e innalziamo con il nostro cuore il cantico di lode che annuncia i prodigi delle “grazie del Signore…perchè la sua grazia rimane per sempre e la sua fedeltà è fondata nei cieli” (cfr. Sal 88). Ci sentiamo confortati dal messaggio che la Pasqua ci ha trasmesso in questi giorni e con la stessa serenità di cuore vogliamo puntare i nostri occhi verso il cielo. In questo movimento ascensionale contempliamo il Risorto che, come agli Undici, rivolge il suo invito missionario ad “andare in tutto il mondo a predicare il Vangelo ad ogni creatura” (cfr. 16,15-20). L’aggiunta redazionale della conclusione del Vangelo di Marco segna l’inizio della nostra testimonianza. Attraverso la nostra vita di credenti perché già redenti, nasce la missione che ci spinge a diventare annunciatori di una salvezza che è per tutti e non si può contenere nelle strettoie dei nostri “santi recinti”. I prodigi descritti da Marco sono quei segni profetici che il Signore continua a manifestare e a realizzare. Il Vangelo è, in sintesi, l’annuncio di una salvezza che passa dalla proclamazione di ciò che Dio ha operato e continua ad operare nella nostra vita. Predicare senza indugio e intraprendere la via della missione, sono i compiti che la nostra chiesa, in sinodo, cioè in cammino con il Maestro sulla stessa via, vuole impegnarsi a compiere, supportati dall’esempio di San Marco Evangelista. La Vergine Santa, Maria Santissima, custodisca il nostro cuore, i nostri pensieri e i nostri propositi, per accogliere e trasmettere con docilità, la bellezza dell’Evangelii Gaudium.