Festa di San Francesco da Paola – Iotta

18-05-2024

Pensiero omiletico San Francesco da Paola 

 

Carissimi, 

contempliamo con ammirevole stupore i prodigi che Dio compie attraverso la disponibilità di uomini e donne che si mettono a servizio della Parola e condividono con entusiasmo e piena donazione l’imitazione delle virtù evangeliche che si sintetizzano nella chiamata a donare la vita senza riserve. Oggi, in questa comunità di Iotta, i nostri sentimenti si elevano nella gratitudine a Dio per l’esempio del nostro amato San Francesco da Paola, definito “il più Santo dei Calabresi e il più Calabrese di tutti i Santi”. La vicina cittadina di Paola ci trasmette l’eco della sua santità, ci consente di seguire i passi della sua vita per imparare dalla sua testimonianza a vivere la comune vocazione alla santità. 

Essere santi è l’unico desiderio da coltivare, l’unica aspirazione a cui attendere, la meta da raggiungere. 

Come comunità cristiana ci siamo radunati attorno alla mensa della Parola e dell’Eucaristia e ci presentiamo dinanzi a Dio con le mani vuote per riempirle della sua grazia così da ricevere quel pane quotidiano che invochiamo nella preghiera per noi e per tutti. Attorno alla mensa della Parola che  in questi ultimi giorni del tempo Pasquale ci sta istruendo ad imitare le virtù della chiesa nascente. Una chiesa più povera della nostra, una chiesa più misera nei numeri, provata nelle avversità, osteggiata dai nemici, ma più viva nell’amore per il Signore. Vorrei consegnare alla vostra riflessione l’esempio di Paolo – come ci ricorda la Prima lettura appena proclamata – che con laboriosità e instancabile zelo si fa tutto a tutti, pur di guadagnare anime per donarle alla Misericordia di Dio. Entra nella casa di una giovane coppia di famiglia, quella di Aquila e Priscilla e con loro condivide la fatica del lavoro che fa spazio all’azione dello Spirito in vista della loro conversione. Entra poi in un’altra casa e nella comunione si realizza la storia di una nuova conversione. Su questo aspetto vorrei sottolineare il collegamento con la virtù della fatica per la comunione testimoniata e vissuta da San Francesco. Nella sua missione non è mai mancato il tempo da dedicare ad essa: ha condiviso con gli operai il sudore del lavoro, si è speso senza riserve alla diffusione del Vangelo, ha viaggiato in lungo e in largo per manifestare i prodigi della Misericordia di Dio, ha lasciato ai suoi fratelli il ricordo di un uomo che ad imitazione di Gesù non trovava posto dove posare il capo. Come Paolo che “si dedicava tutto per la Parola”, così in San Francesco possiamo contemplare l’immagine dell’uomo che fa tutto per Dio. Soleva, infatti, dire: A chi ama tutto è possibile. Il vero servo di Dio si nutre del pane della tribolazione e dell’acqua delle lagrime. Nessuno deve giudicare gli altri, ma solamente se stesso, interpretando sempre i fatti altrui in miglior parte. La perseveranza è la corona della virtù. 

Domandiamoci che cosa ha generato nel cuore del Santo la forza che lo ha spinto a donarsi con generosità alla missione evangelica. Troveremo una risposta esauriente nella scritta incisa sul suo cuore: “Charitas”, Amore!  Un’amore vissuto in seno alla Chiesa ì, dove sapeva riconoscere “non si sente alcuna fatica, anche i più infermi sono abili a portare le croci, perché tutto raddolcisce l’amore”. 

L’amore per Cristo, come sentimento di risposta ad un’amore ancora più grande  e coinvolgente, quello che Gesù nutre per ognuno di noi. Se l’amore è l’essenza di Dio, la nostra vita altro non è che una corrispondenza di amore ricevuto che chiede di essere donato e mai trattenuto. Alcune volte l’amore di cui ci parla il Vangelo trova cuori induriti e porte chiuse, come quelli dei discepoli descritti da Giovanni, incapaci di riconoscere il tempo della grazia, i momenti che Gesù dedicava a loro. La risposta dei discepoli è tipica di chi sta parlando ad un estraneo o ad uno sconosciuto. Quante volte ci troviamo a constatare la nostra estraneità alla vita intima di Gesù. Ne facciamo esperienza soprattutto quando le fatiche ci sembrano insormontabili, quando il dolore e la sofferenza bussano alla porta del cuore, quando si fa strada nella nostra mente la tentazione di sentirci abbandonati da tutti, persino da Dio. Quando la nostra fede vacilla chiediamo segni grandiosi e prodigiosi, quei miracoli di cui San Francesco è stato protagonista. Conosciamo dalla sua biografia i segni taumaturgici manifestati nella sua missione terrena e quelli compiuti dal Cielo. Tuttavia, non bisogna ricadere nel pericolo di una fede che vada in cerca del miracolo, del segno prodigioso che ci stupisce superficialmente, ma non ci tocca interiormente. Bisogna capovolgere il nostro modo di pensare, dalla pelle al cuore, dalla superficie alla profondità. Non dobbiamo credere nei miracoli di Dio, ma in Dio che compie i miracoli! I doni da chiedere sono quelli di una fede matura, di un cuore docile e di una prontezza di spirito per saper vivere con straordinarietà, l’ordinaria vocazione affidataci. 

Come San Francesco impariamo ad essere minimi, piccoli e ultimi per essere riflesso della grandezza di Dio che “rovescia i potenti e innalza gli umili”. 

Viviamo questo momento di festa nella gioia che ci trasmette la celebrazione dell’Eucaristia, guardando al Santo Paolano e ammirandolo per la sua continua ricerca della pace e per il suo tenace ripudio del male! 

 

 

In una delle sue ultime raccomandazioni ai suoi fratelli minimi diceva: “Perdonatevi a vicenda e poi non pensate più all’ingiuria arrecatavi. Il ricordo della malvagità è ingiuria, colmo di follia, custodia del peccato, odio della giustizia, freccia rugginosa, veleno dell’anima, dispersione della virtù, tarlo della mente, confusione dell’orazione, lacerazione delle preghiere fatte a Dio, abbandono della carità, chiodo infisso nelle nostre anime, peccato che non viene mai meno e morte quotidiana. Amate la pace, perché è molto meglio di qualsiasi tesoro che i popoli possano avere. Correggetevi e pentitevi dei vostri peccati passati, poiché Dio vi aspetta a braccia aperte”. 

L’augurio a ciascuno di voi, all’inizio di questo triduo di preghiera, sia quello di desiderare di essere minimi su questa terra e diventare grandi per il Cielo! Amen