Omelia Messa in “Coena Domini” 2024
Carissimi,
le parole che pronunciamo questa sera, lasciano lo spazio alla solennità, all’austerità e all’eloquenza dei segni e dei gesti, così pronunciati all’interno dell’Eucaristia che celebriamo. Due gesti solenni, semplici e profetici: la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucaristia. La messa in Coena Domini, ci trasporta con la mente e con il cuore, al cenacolo, dove Gesù ha dato la prova suprema ai suoi discepoli del suo amore fino alla fine. Riprendo questa espressione evangelica per dire che l’amore di Gesù per i suoi discepoli è l’atto supremo della sua missione: fino alla fine si è consumata l’appassionata e intensa storia di amore di Gesù. Tuttavia, mi piace pensare che l’espressione “fino alla fine” debba essere interpretata nell’ottica realizzativa della sua vocazione: amare è il fine, l’unico scopo della missione di Gesù.
Carissimi fratelli e sorelle, ci ritroviamo insieme per l’ultima cena del Signore Gesù. Una cena vissuta come cena pasquale ebraica. Una semplice cena, quindi.
Eppure è una cena indimenticabile.
Indimenticabile per i discepoli di Gesù.
Se la saranno ricordata per tutta la vita. L’avranno ricordata con emozione, ma anche con tanto senso di colpa. E di preoccupazione. Non dimentichiamo che i discepoli avevano da qualche parte con loro due spade che tireranno fuori nell’orto degli olivi. Tagliando l’orecchio a un malcapitato. L’atmosfera non era delle migliori. Si avvertiva il pericolo.
In quel clima, cenano insieme. Un clima di festa e di paura. Un po’ come il nostro. E il maestro compie due gesti straordinari nella loro ordinarietà. Prende del pane e dice “questo è il mio corpo”; prende un calice con del vino e dice “questo è il mio sangue”, sostituendo così in una sola volta tutti i sacrifici animali che fino ad allora si compivano nel tempio.
E ha concluso: “fate questo in memoria di me”.
Tutti hanno mangiato e tutti hanno bevuto. Tutti hanno vissuto quella comunione.
Non solo, ma Gesù ha anche compiuto un altro gesto semplice e straordinario. Ha preso un asciugatoio, si è chinato, anzi inginocchiato, e ha lavato i piedi ai suoi discepoli. E ha detto a loro: ”Come ho fatto io, fate anche voi”.
Nessuno maestro o filosofo o fondatore di religioni ha mai lavato i piedi ai suoi discepoli, né prima né dopo!
Anche quel gesto, anche quelle parole, sembra non abbiano convertito nessuno.
Dicevo, i discepoli avranno ricordato quella cena, quell’ultima cena, con tanta emozione ma anche con tanto senso di colpa: tutti, poco dopo infatti sono scappati. Pietro, Giuda. Tranne Giovanni, tutti i discepoli (maschi) scapperanno. Lasciano Gesù da solo.
Scapperanno tutti, con i piedi puliti, ma scapperanno.
Le uniche a non scappare saranno le donne.
Quella “comunione”, sembra non sia servita a niente.
Cari fratelli e sorelle, quell’ultima cena è la nostra prima messa. Anzi, le nostre messe, sono memoriale di quella.
E non meravigliamoci, se alle messe alle quali partecipiamo sembra non cambi niente. Sembra che esse non ci smuovano. Sembra non ci convertano. In ogni caso è una semina, prima o poi produrrà i suoi frutti. La morte, il male, la sofferenza non saranno l’ultima parola. L’ultima parola l’avrà la vita. La vita di Cristo risorto.
Come accade anche in questi giorni. La guerra che sta avvenendo vede da una parte e dall’altra cristiani.
È una doppia tragedia.
Gesù viene ancora una volta tradito dai suoi.
Gesù viene smentito da noi, dalle nostre azioni, dalle nostre parole. Eppure, ci professiamo cristiani.
Magari non praticanti, si dice, ma cristiani.
E allora? Serve a qualcosa partecipare all’eucaristia? Serve a qualcosa lasciarci lavare i piedi, lasciarci servire dal Signore ancora oggi?
Sì, serve, perché alla fine i discepoli, anche se non tutti (non Giuda, per esempio) capiranno e si convertiranno.
Quel seme gettato crescerà e li farà tornare al cenacolo, ad attendere l’arrivo di Cristo risorto.
E allora sì avranno il coraggio, con il dono dello Spirito, di ripartire.
E di imitare Gesù. Il coraggio dimettersi in ginocchio e di fare come Lui.
Sì, serve, perché ancora e sempre il Signore continua a servirci, a lavarci i piedi.
E lo fa attraverso i suoi discepoli.
Come lo fanno le mamme e i papà, quando amano i loro figli. Come lo fanno gli educatori, quando custodiscono i loro ragazzi. Come i volontari, quando si mettono a servizio di chi bisogno. Come chi lavora o amministra, quando compie con amore e professionalità il proprio dovere.
Gesù continua ancora a lavarci i piedi. Materialmente lo faccio io questa sera. Ma è Gesù che continua a mettersi a nostro servizio. È Lui che lo fa. E ci chiede di fare come Lui. Prima o poi. Forse non subito.
Non vale e non serve neanche la nostra messa, se non ci mettiamo in ginocchio e non serviamo con amore.
Non è vera l’Eucaristia che non ci porta ad inginocchiarci di fronte al fratello, a chinarci per lavargli i piedi, per compiere cioè un servizio umile, ma prezioso.
E anche l’amore verso il fratello ha bisogno di ritornare da Gesù, per ringraziarlo di questo dono. Per riconoscere che la vera sorgente del mio e del nostro amore è Lui e solo Lui.
La preghiera e la fraternità sono gemelle, nell’eucaristia vanno insieme. Pane e vino; grembiule e acqua. Perdono e fragilità.
Hanno bisogno l’una dell’altra.
28.03.2024