Praia a Mare, 12 giugno 2025

Omelia ordinazione diaconale di Greco Giovanni e di Giuseppe Mazza

12-06-2025

Sotto lo sguardo tenero e amorevole, della Madonna della Grotta e della Madre dell’Inclusione, qui esposta, siamo qui questa sera per partecipare ad un evento di grazia speciale per questa comunità e per l’intera Diocesi: l’ordinazione diaconale di Giuseppe e Giovanni. È un giorno di gioia e gratitudine, un passo importante nel cammino di fede di chi ha scelto liberamente e per amore di mettere al servizio del Signore e della Chiesa la propria vita.
L’ordinazione diaconale è un regalo di Dio offerto all’umanità; Egli invia i suoi a farsi prossimi delle fragilità e delle speranze del suo popolo. Il diacono, infatti, è chiamato a essere segno visibile dell’amore inclusivo di Cristo, un evangelizzatore instancabile della sua Parola salvifica, un servizio che deve essere vissuto con umiltà, con fedeltà e generosità. Cari Giuseppe e Giovanni, siate dunque servi della carità, coerenti annunciatori del Vangelo, operatori di giustizia e seminatori di bene. Questo servizio richiede sacrificio, coraggio e una disponibilità totale. È un cammino di sequela che implica la scelta dell’ultimo posto, uno stile di vita semplice e umile per testimoniare con credibilità la presenza di Dio nel mondo. La vocazione al servizio è una richiesta di pienezza d’amore e di dedizione al prossimo, senza riserve. Lo hai scritto bene caro Giovanni nella tua domanda indirizzatami per il diaconato: “Desidero diventare diacono donando tutto me stesso e per questo voglio pronunciare il mio “Eccomi” a Dio. Desidero diventare diacono perché come i servi alle nozze di Cana, indirizzati da Maria, ascoltano e agiscono in obbedienza al comando di Gesù, così anch’io voglio essere un servo docile e disponibile, che sappia ascoltare e agire obbedendo al Signore”; e così anche tu caro Giuseppe, hai scritto bene: “Con sincerità di cuore affermo il mio impegno alla dedizione piena e zelante nel servizio a Dio e al prossimo, con cuore indiviso, pacificato, unito a quello di Cristo Servo obbediente”. Sono propositi carichi di entusiasmo, di freschezza e di sincerità, ma verranno momenti di stanchezza, di delusione dove affaticati e scoraggiati sarete tentati di adeguarvi alla mediocrità, allora sappiate tornare a questi momenti iniziali. E chiedo a tutti di sostenerli, incoraggiarli, non lasciarli soli. Ma soprattutto sappiate trovare in Dio la vostra forza. In questi anni di formazione ho condiviso con voi tempi e momenti di grazia; il ministero del Vescovo si esprime in atteggiamenti di accompagnamento, di premura, di ascolto paziente. Continuiamo a curare questi spazi di amicizia, con affetto, con spontaneità, nella verità e nella carità, deponendo tutto nelle mani del Signore, fonte e culmine della nostra esistenza. Consentitemi di esprimere un affettuoso saluto al vostro Parroco don Paolo, a questa bella comunità di Praia che ha già sperimentato nel mese di Maggio, la gioia dell’ordinazione presbiterale di don Giuseppe Lagatta; un cordiale saluto ai vostri formatori qui presenti, in particolare al Rettore del San Pio X don Mario e al Rettore del Seminario di Posillipo P. Andrea e al già Rettore P. Ronny; insieme a loro saluto e ringrazio l’equipe formativa dei rispettivi seminari, con i vostri compagni di studio e i tanti amici che oggi fanno da corona. Un saluto ai sacerdoti, ai religiosi e alle religiose, ai seminaristi, al Sindaco di Praia, e a tutte le autorità civili e militari. Un particolare saluto alle famiglie di Giuseppe e Giovanni, un saluto fatto di gratitudine: è la famiglia il primo luogo in cui nasce la vocazione; potremmo dire è il primo seminario in cui il germe della vocazione spunta, cresce e viene coltivato dall’amore. A voi genitori, insieme al grazie dico anche di saper lasciare andare questi figli per la vita a cui il Signore li ha chiamati, ad aiutarli a spiccare anche fisicamente il volo dal nido domestico per servire con libertà la chiesa e non essere limitati nel ministero da legami familiari stringenti. A volte purtroppo è proprio la famiglia con le sue impellenze a condizionare il ministero dei sacerdoti rischiando di prendere il sopravvento sui bisogni della diocesi, sulle indicazioni del Vescovo e sulle esigenze del ministero.
L’obbedienza a Dio, la consegna alla Chiesa è anche questo, la capacità di portare i propri cari nella preghiera, di amare diversamente, in modo nuovo, alla luce del Vangelo, di fidarsi della Provvidenza che nel chiamare alla sequela illumina anche su come trovare soluzioni in quelle situazioni particolarmente complesse.
È bello entrare sin dai primi passi in quella fiducia e abbandono che non pretende nulla, né una parrocchia piuttosto
di un’altra, né un ruolo, ma solo servizio gratuito, certi di poter fiorire e portare frutto ovunque l’Amore ci chieda di andare.
Carissimi Giuseppe e Giovanni, questa sera siamo qui per accogliere, come Chiesa, la vostra volontà di donarvi e di servire, e al tempo stesso per scegliervi e inviarvi a portare la presenza del Signore. Lo farete concretamente nella prossima missione in Benin a cui siete stati chiamati, rispondendo con la vostra disponibilità.
Vorrei ora ancora sottolineare alcuni elementi che ritengo indispensabili per il diaconato. Il primo atteggiamento diaconale è quello di alzarsi e mettersi in cammino. Fuggite la tentazione di vivere l’ordinazione diaconale come una sorta di onore per sé stessi. Reputate unico privilegio quello del servizio verso gli altri. Il secondo atteggiamento diaconale è capire che molti hanno bisogno di essere curati nelle loro ferite e nella loro povertà e fragilità, prendendovi cura di ogni persona, con rispetto, con affetto, con dedizione. Il terzo atteggiamento diaconale non è riferito a qualche cosa da fare, ma è piuttosto un atteggiamento che ci fa crescere nel rapporto con il Signore, fondamento di tutta la nostra azione. Come Maria conservava i prodigi di Dio nel suo cuore (Lc 2,19), così imparate ad essere discepoli della Parola per avere la capacità di leggere gli avvenimenti alla luce di Dio, illuminati dal Suo Spirito. Ecco allora che il diaconato non si può ridurre semplicemente ad un fare qualcosa, ma è tempo di meditazione e preghiera, ascolto attento della Parola di Dio per comprendere la Sua volontà e tracciare il cammino. Solo se c’è questa dimensione interiore possiamo agire ispirati dallo Spirito di Dio e non da nostre intuizioni, interessi e umori. Tutto sia vissuto nell’ottica del servizio. Questo si esprime nella dimensione dell’ascolto, nel sedersi con gli altri, nel chinarsi sugli altri, sulle loro fatiche e sul loro dolore; essere servi è prendersi cura delle ferite dell’umanità. La mensa eucaristica, l’annuncio del Vangelo siano per voi luogo in cui nutrire il diaconato per crescere in quella grandezza che vi renderà servi per condividere nelle comunità in cui sarete e nella Diocesi la gioia di essere parte di un popolo, di fratelli e sorelle che con voi e con noi desiderano costruire un mondo fraterno, libero da inutili primati o sterili esibizioni di sé stessi. Il racconto degli Atti degli Apostoli indica anche un altro aspetto del diaconato. Un angelo parlò a Filippo e gli disse: “Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme”. Il primo elemento che cogliamo da queste parole è che il diacono non è mai solo. Infatti, un angelo del Signore guiderà le vostre scelte. Lasciate che lo Spirito sia il vero protagonista della vostra vocazione. Un secondo elemento lo cogliamo dal comando dell’Angelo: “Alzati”. Sì, alzatevi, imparando a stare dove non siete abituati a stare. Andate su strade a voi sconosciute, incamminatevi senza timore. Riecheggia l’invito di Dio ad Abramo: “Esci dalla tua terra… verso la terra che io ti indicherò…”. Su quella strada Filippo incontra un etiope, un funzionario importante di una regina. E lo Spirito suggerisce a Filippo di accostarsi a quell’uomo. Cari Giuseppe e Giovanni, la vita cristiana è incontro, è avvicinarsi agli altri; ci sono tanti come quell’uomo etiope che cercano di capire, di trovare il senso di una vita monotona e grigia. Il mondo, ma anche le nostre comunità e i nostri paesi, sono pieni di questi uomini e donne: imparate a percorrere i luoghi dove vivono queste persone, aiutandoli a scoprire dietro le loro domande il volto tenero di Gesù, la sua parola di vita e apportatrice di salvezza. Ce lo ha ricordato Papa Leone, parlando del nostro tempo storico come il “tempo dell’amore”: “È l’ora dell’amore; è il tempo di una Chiesa che si sporca le mani, che scende per strada, che ascolta, che guarisce. Una Chiesa che non domina, ma abbraccia”. San Paolo, lo abbiamo ascoltato nella seconda lettura, lo dice ai Corinti e a ciascuno di noi con un’espressione che vorrei diventaste un vero programma di vita ministeriale: “L’amore di Cristo ci possiede”. Con queste parole l’Apostolo dona una descrizione lapidaria ed esaustiva dell’identità cristiana. Cristiano, infatti, è colui che, rimasto posseduto dall’amore di Gesù, morto e risorto per lui, non vive più per sé stesso, ma per quel Signore da cui avverte di essere amato “alla follia”. Posseduti da Colui che è amore, siamo capace di riamarlo incondizionatamente e di amare in lui tutti, oltre ogni possibilità umana. Ecco perché, secondo le parole di Paolo: “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove”. Il Vangelo di Matteo infine afferma con estrema chiarezza che chi ha scelto di seguire Gesù, dovrà imparare a stare all’ultimo posto; perché chi vuol essere primo fra tutti deve diventare il servo di tutti.
Carissimi Giuseppe e Giovanni, quando avrete fatto tutto, quando avrete raggiunto nuovi traguardi, o realizzato un sogno, ricordatevi una sola cosa: siete servi inutili! Quel “tra di voi non è così” di Gesù diventa un monito per capire se stiamo impegnando la nostra vita ad essere i primi fra i primi, o gli ultimi fra gli ultimi. Concludo con una preghiera che consegno a voi Giuseppe e Giovanni in questo momento così prezioso della vostra vita e che dice anche quanto vi voglio bene, come voglio bene ad ognuno dei nostri sacerdoti e all’intera diocesi:
Signore che insegnasti a cercare l’umiltà e a mettere gli altri prima di noi, dona a questi tuoi figli, Giuseppe e Giovanni, di ricordarsi sempre che il vero grande è colui che si fa piccolo, che si mette a servizio degli altri, senza aspettarsi ricompense o riconoscimenti. Donagli la forza di vivere con semplicità, con generosità e umiltà, sapendo che l’ultimo posto può diventare il primo, se lo occupiamo con cuore sincero. Aiutali a non cercare il prestigio, ma a trovare la grandezza del servizio, nel dare senza paga, nell’amare senza riserve. Affidiamo a Te ogni occasione di umiltà che la vita offrirà loro, perché possano crescere nella fede e nella carità, seguendo il tuo esempio di umiltà e di amore. Amen

† Stefano Rega, Vescovo