Ordinazione Diaconale di Don Giuseppe Lagatta

06-06-2024

Ordinazione Diaconale di Don Giuseppe Lagatta

 

Carissimi, 

la liturgia odierna ci introduce nel cuore amabilissimo di Gesù. Non c’è una celebrazione liturgica più significativa e più adatta per ritrovarci a parlare “cuore a cuore”, dentro il Cuore del Signore Gesù. Insieme vogliamo realizzare questa esperienza di intima relazione che ci faccia bene, ci tocchi l’anima, ci dia gioia, pace e rinnovato entusiasmo, per la nostra vita e per il nostro ministero. La preghiera della Chiesa ci ricorda che nel Cuore di Cristo celebriamo le grandi opere dell’amore di Dio. Nel suo cuore celebriamo le grandi opere realizzate da Dio! Comprendiamo che stare vicino al Cuore di Gesù, entrare in sintonia con i battiti del suo cuore, è per noi un’esperienza straordinariamente bella e decisiva; e nel giorno in cui viviamo un rinnovato invito alla nostra santificazione, capiamo che il segreto della santità sta proprio lì, nel rimanere “cuore a cuore” con il Signore Gesù, per ritrovare la gioia delle grandi opere dell’amore di Dio per noi e per la nostra vita. In questo clima di affetto e sintonia con il cuore di Gesù, la chiesa diocesana, unitamente alla comunità parrocchiale di Santa Maria della Grotta, è in festa per il dono della vita di Giuseppe, da questa sera più strettamente unita a quella di Gesù, per mezzo dell’ordinazione diaconale. Mi rivolgo con affetto sincero alla sua famiglia, al suo Parroco, ai sacerdoti qui presenti, ai seminaristi della nostra Diocesi e ai compagni di Giuseppe, a don Mario Spinocchio, Rettore del Seminario S. Pio X, e a tutti i formatori, alle autorità civili e militari qui presenti, salutando cordialmente, perché questa sera la gioia sia piena e la chiesa intera esulti per il dono della vocazione di Giuseppe, oggi conformato all’immagine di Cristo servo obbediente attraverso l’ordinazione diaconale. 

Dalla prima lettura cogliamo il messaggio che descrive la qualità dell’amore di Dio. Il suo amore viscerale è immutabile, tale da non dimenticare il suo popolo: Egli si china per attirarlo alla sua guancia, per nutrirlo e insegnargli a camminare. È un sentimento fedele e paziente. Così il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura di Lui, ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia, fino a chiamarlo “Padre”. Il riferimento alla figura paterna aiuta a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo. E le parole stesse di Osea ce lo confermano quando dice “perché sono Dio e non uomo”. L’uomo nella sua fragilità e incostanza, spesso si rifugia dietro la parola “giustizia” dimenticando che Dio chiede e dà “misericordia”. Dio è Padre ed è madre che non abbandona mai i suoi figli; è amorevole, pronto a sorregge, aiutare, accogliere, perdonare, salvare, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità.  Osea scrive “Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore”: come nella metafora dell’amore per la sua sposa in cui il Signore seduce, attrae a sé l’amata per condurla nel deserto e lì ritrovare il loro antico amore, così avviene per te, Giuseppe: Dio ti accompagna senza porre condizioni, senza ricatti, con un amore libero donato gratuitamente. L’atteggiamento del Signore Dio verso il suo popolo infedele è un delicato inno dedicato al perdono, contrassegnato dall’estrema seduzione dell’amore che non muore e che non vuol cedere alle tentazioni della vendetta e dell’autodistruzione. All’amore donato occorre coniugare la disponibilità al servizio. Esso si manifesta nella gioia nell’ accogliere il ministero della predicazione per “annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sull’attuazione del mistero di Dio, nascosto nei secoli” – come afferma Paolo nella seconda lettura. Tale compito richiede alcune caratteristiche che si adattano allo stile del diacono: dedizione totale al servizio, amore per la Parola di Dio, solidarietà per i bisognosi, pazienza nell’ascoltare, fiducia nella Provvidenza, libertà di cuore, magnanimità, carità e soprattutto umiltà, sull’esempio dell’Apostolo che si attribuisce il titolo di “ultimo”. Farsi “ultimo” per servire gli ultimi! La solennità del Sacro Cuore di Gesù si riallaccia significativamente al Giovedì Santo, giorno della lavanda dei piedi e dell’istituzione dell’eucarestia, due momenti che esprimono il mistero della morte e resurrezione di Gesù. L’immagine del cuore racchiude in sé tutto questo. Ciò che là, nel Cenacolo, è avvenuto e avviene ogni giorno nella nostra vita attraverso la celebrazione dell’eucarestia, la predicazione, la carità, l’educazione dei cristiani, è come accolto e racchiuso nell’immagine del cuore: il cuore di Gesù trafitto da cui sgorgano sangue ed acqua. Quest’immagine offerta dalla pericope evangelica di Giovanni ci consente di vedere con gli occhi della fede il sangue che esce dal petto di Gesù prima dell’acqua, quale simbologia di tutta la sua vita che è sparsa per noi. A chi lo uccide, offre la sua vita. A chi lo trafigge, con la lancia più acuta, più aspra dell’aceto, Gesù dona in cambio la sua esistenza. Proprio da questo sangue, da questa vita offerta per amore, oltre l’estremo limite, oltre la morte, scaturisce l’acqua che è simbolo della vita e dello Spirito Santo.  Caro Giuseppe, sarai chiamato d’ora in poi, a una donazione piena, senza risparmiare nulla di te stesso, nella gioia di servire senza riserve e di donare l’acqua del sollievo, della speranza, della fiducia, della bontà e del conforto. Guarderai a Gesù crocifisso per ricordarti della grandezza dell’amore e per imparare, giorno dopo giorno, che amare significa offrirsi incondizionatamente e con gioia. In questa liturgia, infatti, comprendiamo che Gesù ci ha amati e ci ama divinamente con un cuore umano e divino. Questa unità in Lui, tra la natura divina e quella umana, ci fa intuire che l’amore del suo cuore di uomo non ha confini: Li amò fino alla fine” (Gv 13,1). Desideriamo immergerci in questo amore senza confini, per imparare e per ricevere qualcosa di questo amore che ci supera sempre da ogni parte, che ci sembra talvolta irraggiungibile, persino ingiustificabile di fronte ai nostri tradimenti e che, invece, ritorna sempre ad essere il primo: “Vi ho amato per primo”. Solo alla luce di questo cuore possiamo comprendere la nostra vocazione: Egli ci ha voluti, ci ha donato la conoscenza di sé e l’amore di sé nel mistero del battesimo, ci ha scelti, noi, gli ultimi, i più miseri, perché potessimo, dal fondo della nostra miseria, trovare la ragione della nostra dedizione. Dall’ingiustizia della nostra elezione, dobbiamo imparare a trovare quel sentimento di risposta alla sua misericordia che ci rende sempre disponibili alle necessità dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Nell’ordinazione, a cui stiamo partecipando, lo Spirito Santo renderà Giuseppe presenza vivente di Gesù servo. Questa è la grazia sacramentale che riceve: essere figura, manifestazione nella Chiesa di Gesù, che è nostro Signore perché si è inginocchiato a lavare i piedi di tutti e ha dato la vita per non perdere nessuno. Giuseppe si renderà disponibile al Vescovo per quelle presenze e quei servizi di cui la Diocesi potrà avere bisogno. In essi, potrà rendere presente e testimoniare Gesù servo e ricordare a tutti noi che siamo Chiesa del Signore nella misura in cui ci trattiamo reciprocamente come fratelli, pronti a farci servi gli uni degli altri. Offrirà la sua testimonianza nei servizi che gli saranno chiesti e in tutti i rapporti che vivrà. Il sacramento pone dunque il diacono “in stato di servizio” e lo assimila radicalmente a Gesù, il quale “non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita” (Mt 20,28). Si tratta di una profonda trasformazione interiore, una autentica trasformazione della persona, che evidentemente non avviene magicamente e istantaneamente, ma chiede la radicale e insieme paziente, progressiva adesione del soggetto che si lascia cambiare, perché sia sempre più lo “spirito di servizio” a caratterizzare il suo intimo sentire e volere, a investire e modellare tutto il suo modo di pensare e di agire. La spiritualità del diacono è dunque determinata da una triplice relazione, che viene dischiusa dalla configurazione a Cristo servo. 

  1. La prima relazione è con Cristo stesso: l’attività ministeriale condurrà Giuseppe a conoscere, amare e servire Cristo, conformandosi sempre più a Lui, servo obbediente al Padre fino alla morte di croce; 
  2. La seconda relazione è con la Chiesa: Giuseppe partecipa allo stesso amore di Cristo per la sua Chiesa, vivendo la comunione con il Vescovo e partecipando da ministro alla diaconia del popolo di Dio in favore della redenzione di tutti gli uomini;
  3. La terza relazione è con il prossimo: Giuseppe partecipa, imitandolo, allo stesso amore, allo stesso servizio di Cristo in favore di ogni uomo, senza preferenze e senza interessi, nella piena gratuità e nella totale solidarietà. 

Carissimo Giuseppe, tra poco, dopo l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, quando sarai già rivestito della dalmatica, simbolo di quel grembiule con cui Gesù si è cinto i fianchi ed ha lavato i piedi dei suoi discepoli e che ti esorto a non riporre mai nel ripostiglio delle cose inutili o superflue, porrò nelle tue mani il libro del Vangelo di Cristo, del quale diventerai intrepido annunciatore. Ricevendo il Vangelo, da oggi e per ogni giorno della tua vita, immergiti in quell’acqua viva della Parola che illumina e da senso al tuo esistere. La tua vocazione è la testimonianza credibile che Dio sa operare prodigi. Egli si fa spazio dove desidera, nelle storie più difficili e nei modi più impensabili. Parola e Carità, Carità e Parola siano un binomio coerente ed inscindibile della tua missione perché la Parola non si esprime necessariamente con le parole, ma anche e principalmente con gesti, che pur essendo silenziosi, comunicano la verità più bella: quella dell’Amore vero che nasce dal cuore di Cristo. Assicurandoti il mio affetto paterno, la mia preghiera e la preghiera dell’intera Chiesa diocesana, ti auguro di continuare con gioia e perseveranza in questo cammino, senza perdere mai di vista l’essenziale, che, come cantano i Gen Verde, dovremmo tutti assumere come impegno di vita:

“Guardiamo e te che sei Maestro e Signore, chinato a terra stai, ci mostri che l’amore è cingersi il grembiule, sapersi inginocchiare, c’insegni che amare è servire…”.

La Vergine Maria, qui venerata con il titolo di Madonna della Grotta, Lei che si è fatta “la serva del Signore”, ti aiuti a comprendere:

“che il più grande è chi più sa servire,
chi si abbassa e chi si sa piegare,
perché grande è soltanto l’amore”. Amen!