Riflessione: “Gesù modello del servizio”
Testo: Lc 22,22-27
21 «Ma ecco, la mano di chi mi tradisce è con me, sulla tavola. 22 Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito; ma guai a quell’uomo dal quale è tradito!». 23 Allora essi cominciarono a domandarsi a vicenda chi di essi avrebbe fatto ciò.
24 Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande. 25 Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. 26 Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. 27 Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve.
Contesto
I lettori del vangelo sanno che la vita di Gesù sta giungendo al termine. Il dialogo che accompagna quest’ora è dunque un’ultima conversazione di Gesù con i suoi discepoli. Lo sguardo è rivolto quasi esclusivamente su di loro. Per essi l’avvenire è annunciato da Gesù su un particolare modo di intendere il senso dell’autorità, ovvero l’opposto del potere: il servizio (vv. 24-27).1 A questo comando corrisponde una promessa: l’invito alla festa del regno e la partecipazione al giudizio finale (vv. 28-30).
Il desiderio di Gesù: a cena con noi
«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione». Queste parole di Gesù giungono fino a noi e spiegano, forse, perché a volte, nella nostra vita, ci siamo ritrovati alla sua tavola. Non per i meriti, le risorse, le capacità, ma per un ardente desiderio del Signore stesso. Ha desiderato ardentemente cenare con i suoi. E’ Lui che ha voluto non essere solo a questa tavola. È paradossale, ma è proprio così. Mentre molti di noi si vergognerebbero a dichiarare di non voler restare da soli, Gesù, che può tutto, non nasconde questo suo desiderio. Così il suo invito è giunto fino a noi.
Senza escludere nessuno
Gesù si è seduto a tavola con tutti, anche con colui che lo tradiva. Prese il pane, rese grazie, lo diede loro e fece allo stesso modo con il calice. Erano insieme per vivere la Pasqua e Gesù parlava perché comprendessero il grande dono della cena con lui. La sua parola li toccò, li turbò e cominciarono ad interrogarsi a vicenda. La parola di Gesù fa interrogare la comunità intorno alla tavola. La parola del Signore entra fin nel profondo del cuore e della vita. Ci rende contemporanei di quello che è accaduto attorno a quella tavola e della passione del Signore. Anche noi siamo spesso turbati di essere così vicino a lui. Siamo turbati accanto a questo Signore che a Gerusalemme sta vivendo la sua Pasqua. Questo turbamento si manifesta anche nella fatica a seguirlo , quando il suo insegnamento è sempre meno fatto di parole e sempre più di vita vissuta da lui stesso.
“L’amore non è amato”
Domandiamoci come mai quei discepoli, pur essendo vicini, pur avendo ascoltato tante volte la sua parola, non capivano quello che stava accadendo a lui? Il loro cuore era come indurito: non riuscivano a capire o forse non volevano capire. Gesù li aveva chiamati vicino a sé, attorno alla tavola, per spiegare quello che stava accadendo. Un’ora difficile, tragica, l’ora in cui sarebbe passato da questa vita alla morte. Cercava con le sue parole di spiegare loro il senso di un’ora drammatica: «Deve compiersi in me questa parola della Scrittura. Gli stavano vicino, erano a tavola con lui, ma erano lontani e non comprendevano. L’incomprensione vissuta da Gesù è espressione del suo grande amore per l’umanità, dice la sua fedeltà estrema alle promesse di salvezza. Esprime l’amore di un maestro umiliato dall’incomprensione del suo insegnamento. Esprime il dolore di un amico che non si ritrova capito. Nelle fonti francescane si racconta l’episodio in cui Francesco si trova un giorno a piangere e venne visto da un contadino. Il contadino chiese: “Cos’è successo, fratello, perché piangi?” Il fratello – San Francesco – rispose: “Fratello mio, il mio Signore è sulla Croce e mi chiedi perché piango? In questo momento vorrei essere il più grande oceano della terra per avere tutte quelle lacrime. Vorrei che si aprissero allo stesso tempo tutte le porte del mondo e le cataratte e che si scatenassero i diluvi per farmi prestare più lacrime. Ma anche se mettessimo insieme tutti i fiumi e i mari non ci sarebbero lacrime sufficienti per piangere il dolore e l’amore del mio Signore crocifisso. Vorrei avere le ali invincibili di un’aquila per attraversare le catene montuose e gridare sulle città: ‘L’Amore non è amato!’ Com’è possibile che gli uomini possano amarsi se non amano l’Amore?”
Una disputa inutile
A tavola sorse fra i discepoli una discussione su chi doveva essere considerato il più grande. Il Signore risponde: «Fra voi non sia così». Quando sorge una discussione su chi può essere considerato il più grande è la prova, se ce n’è bisogno, che i discepoli proprio non hanno capito a chi stanno vicino. «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» – dice Gesù. Al contrario i re delle nazioni e quelli che hanno il potere e vengono chiamati benefattori rischiano di essere un modello per i discepoli. La discussione è un modo di voltare le spalle al Signore e di non accorgersi che lui sta in mezzo a noi come colui che ha apparecchiato la tavola, che ha lavato i piedi agli amici. Simon Pietro si sente forte, crede di poter fare tutto da solo. Il Signore gli aveva parlato perché, dopo essere stato vagliato come il grano, la sua fede non venisse meno. «Sono pronto con te ad andare in prigione e fino alla morte» – disse l’apostolo. Mentre Pietro parla così, è tutto preso dal suo coraggio e dal senso smisurato di sé. Gesù gli risponde: «Pietro io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi». Pietro non accetta di passare attraverso la sua debolezza e il suo peccato per poi potersi ravvedere e finalmente confermare i suoi fratelli. Il discepolo maturo è colui che passa attraverso la debolezza e conta non sulla sua forza, ma sulla grazia che conferisce la capacità di sostenere e superare ogni prova.
Il traditore che è in noi: Giuda e il desiderio del dominio
In mezzo ai discepoli c’è anche l’ombra di Giuda. Egli siede alla stessa tavola. Chi è Giuda? Sembra l’espressione più crudele del male, uno che per trenta denari vende il Signore. Quel denaro è un compenso sporco, indegno di essere conservato nel tesoro del tempio. Nella nostra prospettiva il suo sembra un tradimento inutile e senza vantaggio. Giuda, in verità, porta alle conseguenze estreme un clima di diffidenza e delusione che si era creato tra i discepoli: «Sorse anche una discussione: Chi di loro poteva essere considerato il più grande». Giuda ragiona a partire dal desiderio di essere considerato più grande, di uscire dalle difficoltà e dall’insoddisfazione vincendo sugli altri. Giuda manifesta il desiderio di prevalere sugli altri, il piacere di avvilire gli altri, il fastidio di essere come gli altri. Quando egli esce dal luogo dove erano riuniti attorno alla tavola con Gesù, da retta al desiderio di vivere finalmente per se stesso cercando il suo interesse a ogni costo. Giuda, inutile negarlo, ha anche voglia di uccidere. Questo rancore assassino ce lo fa sembrare lontano, diverso. Ma non è proprio così diverso. C’è una voglia di cancellare chi ci contrista o ci inquieta, anche in persone comuni. In tanti di noi esiste questa voglia di eliminare gli altri, perchè scomodi e insopportabili.
Gesù modello del servizio
Gesù è il modello perfetto del servitore. Egli incarna perfettamente ciò che dice. Lui, il servo del Signore, si fa servo della gioia dell’uomo. Ogni istante della sua vita è stato servizio ricco di umiltà. Si è chinato sulle bassezze dell’essere umano, per trarre da lui quel tesoro dimenticato, sepolto tra i cadaveri dell’egoismo e del ripiegamento. Gesù è il servo fino all’ultimo respiro, è servo in croce, è servo nel sepolcro, quando lascia il sudario piegato, a parte, è servo il mattino di Pasqua quando appare alle donne, a Maria Maddalena. E’ servo oggi, in ogni tabernacolo del mondo, dove passa giorni, mesi e anni nel silenzio e nel buio, spesso dimenticato, ma sempre pronto a riaccendere speranza e donare pace. E’ servo nei momenti dolorosi, quando ci sentiamo persi, e la sua mano ci salva dall’abisso.
Gesù servo non si intende di primi posti, di reggie e di troni. Lui sa solo cingersi dell’asciugatoio e chinarsi per lavare i piedi di chi ama. Anche i nostri.
Domande per la riflessione
- Guardando a Gesù, modello del servizio, come vivo il servizio ecclesiale a cui sono stato chiamato?
- In ogni uomo/donna so riconoscere la presenza di Cristo da servire?
- Maria, umile serva del Signore, ci insegna a dire il nostro “eccomi”: nella mia vita in quali fatti concreti ho detto l’eccomi a Dio?