Omelia Santi Apostoli Pietro e Paolo – 29 Giugno 2023 S. Marco Argentano
Carissimi,
celebriamo la Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, le due colonne su cui poggia la fede apostolica della nostra Chiesa, la cui devozione attraversa il solco della sua bimillenaria storia. Sentiamo ancora viva la parola di Gesù: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Parole che risuonano nei nostri cuori con la vitalità di un’acqua viva che sgorga limpida e cristallina e interpella le nostre coscienze. Quelle di Pietro e Paolo sono due figure di straordinaria santità, differenti per fisionomia caratteriale e per la chiamata ricevuta, unite nell’unica fede e nello stesso amore per Cristo, nel quale hanno creduto sino al martirio. Tuttavia, occorre stare attenti che queste due figure, cui oggi la Chiesa ci invita a guardare, non divengano pretesto perché si generi in noi un senso di inadeguatezza spirituale, quel sentimento che guardando a testimoni così eccelsi fa emergere un retrogusto amaro nel cuore: “Loro si, ma io no”. Avvertiamo questa inadeguatezza spirituale perché pensiamo alla santità come ad una meta irraggiungibile, perché siamo soliti intronizzare i santi ed elevarli sugli altari. Facciamo fatica a pensare alla santità come ad una vocazione che si realizza pienamente nel percorso della nostra vita, con la gradualità che il Signore ci concede di vivere, senza forzature e senza violenze, con l’assenso pieno della nostra libertà e l’adesione alla sua chiamata. La santità è quella che Dio realizza per noi e con noi, a partire dal nostro battesimo. Ci conforta che Pietro e Paolo sono stati testimoni di una santità eroica, ma pienamente umana. In loro non è mai mancata la consapevolezza di essere sempre aiutati dal Signore. Questo ci è di conforto tra le molteplici prove della vita, nelle circostanze avverse, nei momenti in cui sentiamo la fatica di continuare a camminare, con il pretesto di voler tornare indietro dopo aver messo mano all’aratro. La festa dei santi Pietro e Paolo, ci invita a comprendere in cosa consiste la santità cristiana. Siamo abituati a confonderla con la realizzazione della propria perfezione morale attraverso il mettere in atto delle virtù naturali. Il discepolo di Gesù non è chiamato alla ‘virtù’, all’integrità dell’anima, ma appunto alla santità, intesa nella sua genuina accezione, quella che nasce dal fango e dalle tenebre e non quella immaginata come perfezionismo morale fondata sui propri sforzi, sulla generosità e una semplice bontà umana.
Pietro e Paolo sono stati due uomini deboli, segnati da forti limiti personali, profondamente feriti dalla loro storia e dal loro carattere. Pietro era di Betsaida. Con la famiglia di Zebedeo, padre di Giacomo e di Giovanni, si dedicava al lavoro della pesca sul lago di Genezaret (cf Lc 5,10) e, quindi, poteva godere di una certa agiatezza economica. Era animato da un sincero interesse religioso. Col fratello Andrea si spinse fino in Giudea per seguire la predicazione di Giovanni il Battista. Paolo era un colto fariseo che insegnava nelle sinagoghe. Accanito avversario dichiarato dei cristiani, sino a diventarne persecutore, finché il Risorto gli è apparso sulla Via di Damasco, facendolo cadere da cavallo e gettandolo nelle tenebre di una cecità, poi sanata dall’intervento prodigioso di Anania che lo introduce nella misericordia divina, donandogli il Battesimo e proiettandolo a vivere la missione di annunciatore della buona notizia. Sebbene fossero persone diverse per cultura e sensibilità si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, dove spesso si discute, ma sempre ci si ama. La familiarità e la fraternità che li legavano non venivano tanto da inclinazioni naturali o da volontà umana, quanto piuttosto dall’amore per il Signore, da quell’unico e identico amore totalizzante che li legava al Cristo e per il quale vivevano. Lui li teneva in comunione tra di loro e con Lui, li univa nelle differenze, facendo di queste una ricchezza per tutta la comunità cristiana. Così bisogna pensare alla nostra vita comunitaria, all’impianto delle relazioni che costruiamo nelle nostre realtà ecclesiali. Non c’è da sorprendersi se la chiesa si realizzi nell’armonia delle diversità, non occorre affatto pensare di azzerare le differenze. Quello che conta è il nostro impegno a favore della comunione di un corpo ecclesiale ben compaginato, in cui risplendono carismi, doni e ministeri, in una molteplicità che suggerisce la straordinaria ricchezza della grazia divina e che si mostra in ogni membro con le caratteristiche della singolarità partecipativa, dove il noi della comunione si costruisce nell’armonia delle diversità. La chiesa è così germe di unità nell’intera famiglia umana. È il segno di Dio, al quale nulla è impossibile: in Lui il molteplice può̀ fondersi nella comunione senza confondersi. Per garantire e servire questo dono, Cristo ha scelto Pietro e ne ha fatto il tessitore dell’unità nella verità̀ e nell’amore. La stessa chiesa è destinataria della proclamazione del messaggio operata da Paolo, dopo l’incontro folgorante col Risorto sulla via di Damasco.
È quanto mai utile lasciarsi interpellare dai testi della liturgia odierna per cogliere la coscienza di questi due grandi testimoni, entrambi perseguitati per il loro amore a Cristo.
Abbiamo ascoltato nella Prima lettura come Pietro viene imprigionato dal re Erode, per far piacere ai Giudei che lo odiavano e lo volevano morto. Ma, nella notte, prima di essere presentato al popolo, viene liberato da un angelo sfolgorante, mentre dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. Tutto avviene nella fretta. Appena liberato così si esprime: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva» (At 12, 11). Paolo, l’apostolo delle genti, invece, sta per essere decapitato. Lo ammette con straordinaria forza: «Io sto per essere versato in offerta… Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Pietro e Paolo attribuiscono a Dio la loro liberazione. Dio libera i suoi discepoli da ogni male, dalla persecuzione, dalla prigionia e dalla stessa morte che essi subiscono. Ancora oggi la Chiesa è soggetta a persecuzioni. In tante parti del mondo è Chiesa di martiri. Nelle nostre realtà si sta diffondendo un senso di forte pregiudizio e smarrimento che porta a confondere la verità della fede con le menzogne che il mondo offre a buon mercato. Per noi credenti che vogliamo vivere per il bene e per la giustizia, ci viene offerta una grande consolazione: Dio è vicino ai suoi fedeli servitori, li libera da ogni male, libera la Chiesa dalle potenze degli inferi dal momento che Gesù ha confermato con la sua parola che esse “non prevarranno”. Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ci troviamo a condividere i doni grandi che il Signore ci chiede di consegnare nelle sue mani: il dono del sacerdozio e quello dei ministeri istituiti. Un pensiero di commossa e piena gratitudine lo offro nelle mani di Dio per il dono del sacerdozio, nel trentesimo anniversario di ordinazione presbiterale. Vorrei, insieme a voi, fare “memoria” di tutto il cammino che in questi trent’anni mi ha visto impegnato nel servizio reso alla Chiesa. Ho sempre avvertito accanto a me la presenza discreta e premurosa di Dio che mi ha guidato e sostenuto. Confidando nella sua paterna grazia, voglio ringraziarlo nel dono dell’Eucaristia per la premura che mi ha riservato, donandomi fratelli e sorelle da servire nella sua chiesa. Sento – come per il popolo di Israele – la sua voce che risuona nel mio cuore: “Ricordati di tutto il cammino che il tuo Dio ti ha fatto percorrere per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi”. Mi sento consolato, insieme a Pietro perché so di poter confidare nel Dio che scioglie le catene. Mi rifugio nell’esempio di Paolo a cui Dio gli confida il segreto per riuscire nonostante le fatiche e le difficoltà del ministero: “Ti basta la mia grazia!”. La giornata vissuta con i ministranti questa mattina ha segnato il mio e il vostro desiderio, di una ripartenza per l’impegno fattivo alla promozione vocazionale attraverso la presenza del Seminario, quale luogo privilegiato per scoprire la propria vocazione. La testimonianza dei seminaristi qui presenti, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, possa suscitare nei nostri giovani, risposte mature per una sequela felice e coraggiosa. In questo contesto eucaristico celebriamo anche la consegna dei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato. Il lettorato ai seminaristi Giovanni Greco e Giuseppe Giovanni Mazza, entrambi della Parrocchia Santa Maria della Grotta in Praia a Mare. A voi sarà richiesto di proclamare con franchezza la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, a partire da un assiduo ascolto delle Scritture. Avrete cura di preparare l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare con competenza e sobria dignità la Parola. Il vostro impegno sia quello di suscitare nel cuore dei credenti l’obbedienza alla Parola perché ascoltandola possano penetrarla e incarnarla nella loro vita. L’accolitato ai seminaristi Mattia De Marco della Parrocchia Beata Vergine Maria del Monte Carmelo in Grisolia Scalo e Giuseppe Emanuele Lagatta della Parrocchia Santa Maria della Grotta in Praia a Mare. A loro si unisce l’accolitato di Francesco Saverio Nudi, laico impegnato nella Parrocchia “Immacolata Concezione” in Fagnano Castello. Agli accoliti si chiede di servire all’altare, dove il pane e il vino diventano i doni eucaristici per la potenza dello Spirito Santo e dove i fedeli che se ne nutrono, diventano in Cristo un solo Corpo. Agli accoliti compete anche il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori la celebrazione eucaristica, con particolare dedizione ai fratelli e sorelle infermi. La Parola di Dio e il dono dell’Eucaristia sono le due mense che questa sera risplendono di solennità per i ministeri che affidiamo a questi nostri fratelli. Alle loro famiglie e alle comunità di origine rivolgiamo il nostro ringraziamento e imploriamo effusioni di grazie celesti. Nel Vangelo che abbiamo ascoltato Pietro vive un momento significativo per il suo cammino spirituale nei pressi di Cesarea di Filippo, quando Gesù pone ai discepoli la domanda precisa sulla sua identità: «Chi dice la gente che io sia?» Ma soprattutto quando Gesù vuole sentire una risposta da chi ha accettato di coinvolgersi personalmente con Lui: «E voi chi dite che io sia? È Pietro a rispondere anche per conto degli altri: «Tu sei il Cristo», cioè il Messia. Pur avendo dato una risposta formalmente esatta, l’Apostolo non aveva ancora capito il profondo contenuto del compito messianico di Gesù. Pietro nei suoi pensieri insegue il sogno di un Messia liberatore terreno. Aveva il desiderio che il Signore imponesse la sua potenza e trasformasse subito il mondo. Davanti all’annuncio della passione si scandalizza e protesta, suscitando la vivace reazione di Gesù: «Rimettiti dietro di me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Pietro impara così che cosa significa veramente seguire Gesù. Ne viene un grande insegnamento per noi. Anche noi abbiamo il desiderio di Dio, vogliamo essere generosi, ma ci aspettiamo anche che Dio sia forte nel mondo e lo trasformi subito secondo le nostre idee, secondo le urgenze che noi vediamo. Dio, invece, sceglie un’altra strada, che non è quella della forza che si impone. Egli sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell’umiltà. È la via della croce. Come Pietro siamo chiamati a cambiare mentalità, a convertirci, a non opporci alla profezia della croce. Impariamo a seguire Gesù senza desiderare di precederlo, mettendo davanti noi le nostre vedute, i nostri progetti, le nostre aspettative. È Lui la Via, La Verità e la Vita. Questa sera vorrei consegnare in particolar modo a voi seminaristi, la testimonianza di una grande sacerdote calabrese, il Beato Francesco Mottola, salito al cielo il 29 Giugno del 1969. Entrato undicenne nel Seminario vescovile di Tropea, fu ordinato sacerdote il 5 aprile 1924, dopo la sua formazione teologica presso il Seminario San Pio X di Catanzaro. Egli si dedicò a varie forme di apostolato, tra cultura e carità, fondando la Famiglia degli Oblati del Sacro Cuore e degli Oblati laici. La sua dedizione ai “nessuno del mondo” – come soleva definirli – fu la più bella testimonianza di donazione sacerdotale che seppe incarnare con profondo amore. A lui si deve la fondazione della Case di Carità, la prima delle quali a Tropea. In esse si accoglievano bambini, poveri, anziani e disabili, fornendo assistenza e cure adatte a ciascuno. Il suo apostolato per le vocazioni si espresse con lungimiranza profetica negli anni in cui fu chiamato ad esercitare la missione di Rettore del Seminario di Tropea. Sapeva accogliere e valorizzare le vocazioni, suscitando nei giovani il desiderio di donarsi alla chiamata per il Regno dei Cieli. La sua vita divenne perfetta immagine dell’Eucaristia quando fu chiamato dal Signore ad abbracciare la pesante croce di una malattia degenerativa che lo costrinse ad una lenta paralisi degli arti e alla privazione totale della voce. Non smise, tuttavia, di celebrare messa e di donarsi alla chiesa nella partecipazione alle sofferenze di Gesù crocifisso. Facciamo nostri gli esempi e le testimonianze di vite dei Santi Pietro e Paolo, del Beato Francesco Mottola; facciamo nostra la promessa di Gesù Cristo! Il Signore è sempre con i suoi discepoli per salvarli. Con il suo amore li rigenera e li trasfigura. La condizione perché tutto questo avvenga è una sola: essere, come Pietro e Paolo, di Cristo, vivendolo, donandolo. Essergli, cioè, fedeli sino alla morte, per poter dire anche noi: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede». Lasciamoci costruire come suo Corpo, nell’unità e nella comunione. Nutriamoci alla sua mensa eucaristica, per avere la sua forza di amare. Amen