
Carissimi, siamo ormai prossimi alla Solennità del Corpus Domini, e con il cuore pieno di gratitudine al Signore per il dono della sua perenne presenza nell’Eucaristia, vi raggiungo con un breve messaggio perché insieme alle comunità affidate alle vostre amorevoli cure, possiate coglierne qualche spunto di riflessione spirituale. Domenica 22 giugno p.v. in tutte le Parrocchie della Diocesi vivremo questa grande solennità che mette al centro della Liturgia il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, cuore pulsante della vita cristiana e dono supremo che Gesù Cristo ci ha lasciato per rafforzare la nostra fede e solidificare la comunione. Con gratitudine, ricordiamo il mistero dell’Amore di Cristo che si dona a noi ogni volta che lo riceviamo nell’Eucaristia. Egli si fa cibo e bevanda di vita eterna, rendendo presente tra noi il suo sacrificio d’amore e invitandoci a sentirci parte di un unico corpo, sorretti dal desiderio di testimoniare nel mondo il suo Vangelo di pace, giustizia e misericordia.
Mentre attraversiamo le vie dei nostri paesi con la processione eucaristica, rinnovo l’invito a tutti voi a riscoprire il significato profondo di questa festa; non si tratta di una semplice devozione o di una salutare e benefica pia pratica, ma è un momento di comunione con Cristo e tra di noi, un’occasione unica per rinnovare il nostro impegno a vivere secondo i valori del Vangelo.
Uno dei più noti inni eucaristici di San Tommaso d’Aquino, dal titolo Adoro Te devote, così recita nella seconda strofa: “La vista, il tatto, il gusto, in Te si ingannano, ma solo con l’udito si crede con sicurezza: credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio, nulla è più vero di questa parola di verità”. I nostri sensi non possono risolvere il grande mistero della presenza sacramentale del “Dio nascosto sotto i veli eucaristici”; tuttavia la fede viene in soccorso alla nostra debolezza e ci fa “credere sempre più in Te, che in Te io abbia speranza, che io Ti ami” (cfr. Adoro Te devote).
Con fede e amore possiamo contemplare il mistero della misericordia di Dio nella sua concretezza. La solennità del Corpus Domini, infatti, mette in luce la realtà affascinante della nostra fede: il nostro è un Dio che si fa toccare e che si fa mangiare. Perciò l’esperienza di Dio che si è rivelata in Gesù è concreta e tangibile. Questo vuol dire che è possibile parlare dell’amore divino rinunciando a parole superficiali e generiche. Al contrario, bisogna partire dall’esperienza che ciascuno di noi ne fa.
Ad illuminare i nostri cuori, quest’anno la liturgia ci propone un vangelo che esprime al massimo la concretezza dell’amore di Dio per i suoi che sentono il bisogno di accoglierlo. Il brano proposto, infatti, ci consente di celebrare la solennità del Corpus Domini facendoci gustare il rischio che Gesù corre con i suoi: il rischio dell’amare fino alla fine. Il Maestro dice ai suoi discepoli “voi stessi date loro da mangiare”. Il contesto del brano racconta di quotidianità. Cristo cammina, cerca un posto in disparte per la preghiera, ma è raggiunto dalle folle e non le respinge. Di fronte a questa ricerca, Egli non si sottrae, anche se, nella sua libertà, potrebbe farlo. Offre Parola e guarigione. Quello che, oggi, continua a compiere Dio tramite la Chiesa.
Il Pane spezzato per molti, la Parola di Vita offerta, la guarigione del perdono. In queste situazioni possiamo cogliere una prima missione che Gesù affida alla sua chiesa: tramite le sue molte membra, amministra i sacramenti, spiega le Scritture, offre preghiere di intercessione per coloro che le richiedono e per coloro che ne hanno necessità. Facciamo nostro l’invito di Gesù; ad ognuno di noi continua a ripetere: “Voi stessi, date loro da mangiare”. Un invito pressante e denudante, quello di Cristo, perché esige il coraggio di spogliarci del superfluo, di togliere via l’opprimente, di accogliere la scelta di chi si è incarnato in totale e disarmante povertà. Con queste parole è commentata la pericope lucana da San Basilio Magno: “Il pane che a voi sopravanza è il pane dell’affamato; la tunica appesa al vostro armadio è la tunica di colui che è nudo; le scarpe che voi non portate sono le scarpe di chi è scalzo; il denaro che voi tenete nascosto è il denaro del povero; le opere di carità che voi non compite sono altrettante ingiustizie che voi compite”. Gesù sembra invitare i suoi discepoli ad avere sollecitudine per i bisognosi e a mettersi all’opera per sfamare chi ha fame. Lo conferma la situazione che abbiamo innanzi, quella di una moltitudine affamata. Tuttavia, vi è di più di un semplice gesto di compassione: il Dio fattosi uomo, invita a rientrare nel nostro essere uomini, a sentirci uomini tra gli uomini, condividendone gli affanni. Il segreto è contenuto in quel “voi stessi” evangelico, che rivela il principio d’azione di chi impegna la sua vita in una donazione oblativa, generosa, irrazionale come lo sono i cinque pani e due pesci per i cinquemila, ma allo stesso tempo sovrabbondante di amore. In quel “voi stessi” sentiamo un’eco di eternità che chiede di essere ascoltata. Dio ascolta l’invocazione di chi ha fame, ma al contempo ci esorta a impegnarci in prima persona. Eppure, un pane senza carità non sfama veramente, non sfama la vera fame dell’uomo che supplica ascolto, comprensione, empatia. In un mondo che induce a pensare che ogni cosa abbia un prezzo, Dio offre una gratuità preziosa e inestimabile. C’è un tutto, che, anche se poco, nelle mani di Dio, non solo è sufficiente, diventa sovrabbondanza di grazia, che, come pioggia, irriga ogni cosa, disseta ogni cuore, riempie di gioia infinita.
Siamo una chiesa in cammino nel tempo di grazia offertoci dal Giubileo della Speranza. Vorrei donare alla vostra riflessione l’immagine del pellegrino russo. Tutti noi conosciamo la storia di quel testo prezioso che narra le vicende di un pellegrino russo. Questi, giunto all’età di trent’anni e avendo perduto tutto, entra una domenica in una chiesa dove ode una frase di San Paolo: “Pregate incessantemente”. L’esortazione lo induce a mettersi in cammino e a trasformare il pellegrinaggio in un viatico terreno. Alla ricerca di come pregare incessantemente e di qualcuno che possa insegnargli come farlo, quest’uomo, figura di ogni credente che intende iniziare un percorso di avvicinamento a Dio, si avvia con queste parole: “Per misericordia di Dio sono uomo e cristiano, per opere gran peccatore, per vocazione pellegrino senza dimora, del ceto più umile, che va forestiero di luogo in luogo. I miei averi sono una bisaccia di pan biscotto sulle spalle, e in seno la sacra Bibbia, ecco tutto”. La Solennità del Corpus Domini imprima in ognuno di noi il discernimento del Sapiente, dell’uomo che si lascia trasformare in eucaristia, segno semplice e prezioso di ciò che è necessario, di ciò che sfama e di ciò che soddisfa. Pane e Parola, Eucaristia e Scrittura: il mio desiderio è che le nostre bisacce ne siano piene e sovrabbondanti.
Il Corpo e il Sangue di Cristo dicono una verità imprescindibile: Egli si prende cura di noi con la sua presenza. Vi invito, a conclusione di questo messaggio, a rileggere con attenzione il testo della canzone “La cura” di Battiato. Il significato del suo testo è stato interpretato in diversi modi. Probabilmente è proprio questa la sua potenza evocativa: parlare a tutti di una forza estrema come l’amore, fatto di piccole attenzioni richieste ogni giorno, di gesti estremi che si è disposti a compiere per l’amato/a. In fondo, il messaggio è sostanzialmente eucaristico e si rivela nella volontà di Gesù di prendersi cura dei suoi che “amò sino alla fine”. In questa solennità e ogni giorno, Gesù vivo e vero continua ad amarci e dirci il motivo del suo amore: “perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te”.
Vi benedico di cuore, invocando su di voi la pace e la gioia del Signore.
Buona solennità del Corpus Domini!
† Stefano Rega
Vescovo
Allegato: Messaggio Corpus Domini 2025