Sabato 4 marzo 2023

L’Omelia di mons. Rega per la celebrazione d’Ingresso

“Ascoltatelo” è la Parola centrale della liturgia di questa seconda domenica di Quaresima, “donami un cuore che sa ascoltare” (1Re 3,9) è la prima parola che ho scritto nel messaggio a questa cara diocesi lo scorso 10 dicembre. Dio sa mettere insieme tutti i pezzi e fare per noi un magnifico mosaico. C’è già un filo provvidenziale che unisce le nostre storie, le nostre vite e i nostri sogni. Tutta la storia della salvezza in cui anche noi siamo inseriti è la storia di cuori in ascolto, che riconoscendo la voce e l’appello di Dio si sono messi in cammino lasciando le loro sicurezze, affidati ad una promessa incomprensibile nei suoi risvolti umani, ma degna di fiducia perché pronunciata da Dio stesso. E il primo a mettersi in ascolto e a venire è stato Dio stesso: “ho ascoltato il grido del mio popolo e sono sceso per liberarlo” (Es 3,7-8).
Nella prima lettura incontriamo Abramo, che ascoltando la Parola di Dio lascia la sua terra confidando nella promessa fattagli di una posterità luminosa e della chiamata a divenire benedizione per altri. Anche la Vergine Maria, ascoltando la voce dell’angelo crede alla Parola che le è annunciata e la promessa di Dio, il Messia, diviene carne nel suo grembo verginale. Così anche Pietro, Giacomo e Giovanni che in questo brano evangelico troviamo sul Tabor con Gesù, ascoltando la voce del Padre riconoscono nell’uomo che hanno davanti il Figlio amato e si mettono in ascolto e in cammino.
Alla luce di queste preziose testimonianze entriamo quindi, ed io con voi da stasera, nel solco della fede dei nostri padri, come troviamo bene espresso nella preghiera di colletta, chiamati, facendo eco alle parole dell’Apostolo Paolo ad una vocazione santa, non per i nostri meriti, ma secondo il progetto e la grazia in Gesù Cristo. Questo cammino di Ascolto della Parola, ci porterà a scelte concrete, perché la Parola è creativa e realizza sempre ciò che dice, e ci chiederà impegno e collaborazione perché la Benedizione posta sulla chiesa di San Marco Argentano-Scalea possa essere un rito perenne che raggiunge tutti e tutto.
Sì, dopo aver ascoltato mettiamoci in cammino, per salire in alto, come invita a fare oggi il Signore nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, in alto per superare come afferma Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre cosi”, invitandoci ad essere audaci e creativi, a ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi di evangelizzazione, camminando non da soli, continua il Papa, ma insieme Vescovo, sacerdoti e fedeli tutti (cfr. EG 33). Come oggi il sinodo ci esorta, nella comunione, nella partecipazione e nella missione. Per strada come ha fatto Gesù, incontrando volti, sofferenze, e offrendo a tutti una mano per dare salute e salvezza. Anch’io certo non voglio stare chiuso in un castello, ma camminare per le vie di questa nostra terra e seminare sorrisi e speranza, donando a tutti il Vangelo della misericordia, stando vicini, come ci ha ricordato Papa Francesco: vicinanza a Dio, agli altri Vescovi, ai Sacerdoti, al popolo di Dio.
“Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù, meglio una Chiesa ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto una Chiesa malata per la chiusura e la comodità delle proprie sicurezze”, sempre Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (EG 49), fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37).
Se la Parola che mi ha accolto familiarmente è l’Ascolto, il dono che vi porto da parte del Signore è la Benedizione. Benedizione su questa terra particolarmente bella e variegata nella sua morfologia fatta di monti e mare, benedizione su ogni sacerdote di questa chiesa particolare, primo dispensatore a sua volta di grazia e benedizioni, benedizione su ogni famiglia, bambino, giovane, anziano, benedizione su ogni
sofferente nel corpo e nello spirito, su chi vive la fatica della vita e i disagi di tante forme di povertà, e su chi si impegna fattivamente per risolverli.
Vengo a voi per ascoltarvi e anche per farmi ascoltare come inviato di Dio stesso in questo tempo storico, vengo a voi per benedirvi e per essere benedetto, perché anche un vescovo, che è un uomo come tutti, ha bisogno di essere benedetto dai suoi sacerdoti e dal popolo di Dio che gli è affidato! Entro in questa chiesa, che ora diventa parte di me stesso inserendomi dentro il solco della sua storia, raccolgo il testimone della fede dai confratelli vescovi che mi hanno preceduto lungo i secoli, divento prossimo a ciascuno di voi per essere costruttore di un presente proteso verso un futuro che vuole essere dono per le generazioni che verranno.
Nel motto episcopale che ho scelto “date illis vos manducare” c’è un desiderio che stasera vi affido, confidando che trovi piena corrispondenza nei miei sacerdoti e in quanti vogliono continuare ad edificare la casa comune che è questa diocesi, fedeli, amministrazioni, uomini di buona volontà. Il desiderio, che era quello che animò Gesù nel pronunciare questa frase, è che nessuno che cerca il Signore, sia rimandato a casa propria digiuno, a bocca asciutta a motivo della scarsità di mezzi, ma che, unendo il poco che siamo e che abbiamo, mettendolo a disposizione degli altri, possa non solo bastare per tutti, ma esuberare e divenire nuovo fermento per un’infinita moltiplicazione che la grazia concede a chi dona con gioia. L’immagine del pellicano sullo stemma esprime proprio questa intuizione, dare sé stessi, come Gesù, perché i piccoli che ci sono affidati abbiano vita, e vita in abbondanza. Il cammino da intraprendere certamente non è facile, ma dinamico come le onde del mare, a volte magari anche insidioso e agitato, ma sul mare, come nello stemma, stella sicura è Maria, pellegrina nella fede, che custodisce e guida la Chiesa e ogni chiesa particolare.
Entrando in questa comunità diocesana in tempo di quaresima viene spontaneo guardare a ciò che ci è posto dinanzi come meta del nostro cammino, la Pasqua, non solo per questo itinerario di grazia, ma come direzione continua a cui tendere e come pedagogia con cui leggere ogni avvenimento.
L’esperienza del primo martire, Stefano, discepolo e testimone del Cristo glorioso, ci mostra come la misura alta dell’Amore fa camminare non con il volto triste e il capo chino, ma con lo sguardo sempre rivolto verso il cielo, sguardo luminoso perché contemplativo. Stefano contempla la gloria di Dio perché per lui sono aperti i cieli, non solo come segno prodigioso nell’ora del martirio, ma costantemente come testimonianza di una vita autenticamente cristiana, quindi risorta. Il riferimento al martirio di Stefano sullo stemma vuole essere non solo legato al nome che ho ricevuto nel Battesimo, ma anche ad un sogno di speranza che porto in cuore: che il nostro stare insieme possa tradursi in un’autentica esperienza pasquale. Che ogni masso che ostruisce la comunione o la costruzione del “noi” ecclesiale possa essere ribaltato dalla luce radiosa di Cristo, crocifisso e risorto. Del resto la domenica della Trasfigurazione che la liturgia ci fa vivere altro non è che un’anticipazione della Pasqua, la grazia di poter vedere nel momento presente, oltre l’evidenza dei fatti, Dio all’opera, la sua fattiva presenza negli eventi, il Suo essere Signore e Salvatore dell’uomo e di ogni uomo.
Con lo sguardo fisso sul risorto la nostra diocesi sia una casa accogliente e un luogo permanente di comunione, con una pastorale profetica e aperta al dialogo, al confronto, una “Comunità di comunità”. Credo in una comunità diocesana bella, nelle strutture e nelle persone, dalle porte aperte e dalle luci accese, attenta al territorio, alla legalità, al senso civico, una casa attenta ad educare alla fede e alla cultura, senza chiacchiere, sì perché senza chiacchiere è una casa perfetta. Una comunità entusiastica, capace di rischio, libera dai risultati, che quando il cielo è tutto nuvoloso sa parlare di sole, una comunità non lamentosa e arrabbiata, ma convinta, per la forza della resurrezione, che nessun male è infinito,
nessuna notte è senza fine, nessun uomo è definitivamente sbagliato, nessun odio è invincibile dall’amore.
Tutto ciò sarà possibile realizzare insieme, creando alleanza, sinergia, rete tra parrocchia, famiglie, istituzioni, forze dell’ordine, scuola, territorio, associazioni, e la vostra presenza eterogenea ma cosi unita è già il segno che questo obiettivo si sta realizzando.
Allora grazie per essere qui a condividere non un mio progetto o una mia conquista, grazie perché uniti nella consapevolezza di realizzare il progetto di Dio in questo territorio, perché con me volete impegnarvi e sollecitarmi a camminare verso il bene e verso la crescita umana, culturale e spirituale di ogni persona.
A lei carissimo Padre e Vescovo Leonardo il mio filiale e devoto grazie per questa bella Chiesa che ha guidano in questi anni, a lei la mia rinnovata comunione e partecipazione nel servizio a questa nostra Chiesa diocesana, a lei che ho subito avvertito come padre, amico e fratello.
Con lei ringrazio i Vescovi che sono venuti a condividere questo momento, il Vescovo Angelo, i presbiteri di Aversa e di San Marco, i diaconi, i seminaristi, i religiosi e le religiose, i movimenti, i gruppi e le associazioni.
Grazie ancora alle autorità civili e militari, al Sindaco di San Marco e di Scalea e ai Sindaci dei diversi comuni di questa diocesi. Grazie alla mia famiglia e ai fedeli della diocesi di Aversa che mi hanno accompagnato. Grazie a coloro che hanno lavorato per questo momento, il comitato organizzativo affidato a Don Gianfranco Belsito, al coro, al servizio liturgico, all’ufficio liturgico della Diocesi, a coloro che mi hanno assicurato preghiere, ai giovani che ho incontrato presso il liceo di San Marco, agli anziani della casa di cura di Roggiano, alle sorelle e ai fratelli con cui ho condiviso il pranzo. Grazie a voi tutti, bambini, giovani, famiglie.
Sostenetemi con la vostra preghiera perché io sia Vescovo secondo il cuore di Dio e sia instancabile operaio nella vigna del Signore al quale rinnovo questa sera il mio eccomi, consapevole che Dio mi ha fatto un dono grande, chiamandomi al servizio di questa Santa Chiesa di San Marco Argentano – Scalea.
Alla Vergine Maria, da noi invocata come Regina del Pettoruto, al nostro patrono San Marco, affido il mio servizio pastorale. Amen

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