Messaggio alla Diocesi in occasione della Solennità del Corpus Domini

Carissimi,
domenica 11 giugno celebreremo nelle nostre comunità parrocchiali la solennità del Corpus Domini. La peculiarità di questa festa risiede nell’intenzione di sottolineare la realtà della presenza del Signore nel segno sacramentale dell’Eucaristia. Il nuovo ed eterno sacrificio, istituito nell’ultima cena dal Signore Gesù, quale memoriale della sua morte e risurrezione, è consegnato nelle mani dei ministri ordinati perché venga perennemente celebrato “nell’attesa della sua venuta”.
La comunità ecclesiale è generata dall’Eucaristia e si alimenta attraverso l’Eucaristia. I segni che la costituiscono sono intrisi di povertà e profezia. La prima caratteristica è espressa dalla straordinaria semplicità che Dio ha scelto per manifestare la sua reale presenza nei segni sacramentali del pane e del vino. Il loro significato simbolico, radicato nel panorama dell’Antico e del Nuovo Testamento, si esplicita nel dinamismo del dono e nella forza creatrice di una gioiosa comunione. Il pane e il vino, data la loro speciale peculiarità, sono elementi che non possono mai mancare sulle nostre mense. Nella Bibbia il pane appare strettamente legato alla fatica del lavoro, in seguito al peccato dell’uomo: «Mangerai il pane col sudore del tuo volto» (Gen 3,19). In esso si trova anche il segno concreto della Provvidenza divina che lungo il corso della storia della salvezza si è esplicitata in una attenta e premurosa sollecitudine. Il cammino del popolo ebraico nel deserto è scandito dalla pioggia di manna, il pane dal cielo, in quantità sufficiente per ciascuno: quanta ognuno ne poteva mangiare (Es 3,19). Nel suo significato concreto e simbolico il pane è dono dall’alto, da invocare con umiltà e da aspettare con fiducia: proprio per questo suo stretto rapporto con Dio diventa immagine della Sapienza divina. L’autore dei Proverbi si fa eco di un appello accorato che la Sapienza rivolge a coloro i quali accolgono il suo invito: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato» (Pr 9,5). Il Nuovo Testamento fa sue molte di queste antiche idee, a cominciare dalla necessità della carità. Gesù compie il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, per indicare agli apostoli, che volevano congedare la folla perché ognuno provvedesse a se stesso, quale fosse in realtà il loro compito primario: «Date loro voi stessi da mangiare» (Mt 14,13-21). Non meraviglia quindi che nella preghiera che Gesù ci ha insegnato si chieda a Dio di “darci oggi il nostro pane quotidiano” e che sia Gesù stesso ad insegnare che i figli accolgono con fiducia la Provvidenza celeste (Mt 6,11).
Anche la simbologia del vino ha assunto caratteri svariati nella letteratura biblica. L’elemento principale che la Bibbia esprime a riguardo del vino è quello della gioia. Già nei Salmi si esprime l’esperienza dell’orante che accoglie la Parola di Dio nella simbologia di un cuore colmo del vino della gioia (Sal 104,15). Nel celebre brano giovanneo delle nozze di Cana è il vino l’elemento che improvvisamente viene a mancare durante il corso della festa. L’intervento di Maria e il successivo
segno prodigioso di Gesù diventano la concretizzazione di una ritrovata armonia e di una rinnovata gioia che allietano il cuore degli sposi in festa (Gv 2,1-11).
Nella donazione della sua vita, Gesù raccoglie tutto il valore simbolico dei segni sacramentali, gettando su di essi una luce profetica che ci porta a vedere il segno concreto della realizzazione del progetto di Dio, nel passaggio dall’Io sono di Mosè alla rivelazione nell’Emmanuele (“Dio con noi”) che nel Sacramento dell’Eucaristia diventa memoriale di una perenne e reale presenza divina.
La semplicità dei segni del pane e del vino offrono alla nostra vita una possibilità concreta di scegliere l’essenziale al posto del superfluo, dell’utile a preferenza dell’inutile, del poco da chiedere e dell’eccesso da rifiutare. L’Eucaristia diventa per noi credenti, in particolare per i sacerdoti, la via da seguire e la vita da realizzare. La via del ringraziamento e la vita della donazione.
Vorrei ravvivare il mio desiderio alla realizzazione piena della comunione presbiterale nella nostra Diocesi. Questa diventa segno visibile della celebrazione reale dell’Eucaristia. Ogni sacerdote, infatti, si trova intorno alla mensa per far memoria del dono del ministero, segno visibile della presenza di Cristo buon pastore. Dono dato da Gesù nel Cenacolo. Da quel luogo di offerta nasce la comunione tra compagni. Non è un caso che la parola «compagno» sia etimologicamente legata alla fraterna condivisione del pane (cum + panis). Bisogna, pertanto, crescere nella consapevolezza di essere figli del Cenacolo, collocati da Gesù in un posto, “al piano superiore” per continuare a celebrare la donazione di se che ci impegna a donarci a chi ha fame e sete di senso. Dal cenacolo siamo chiamati ad uscire sulle strade del ministero: qui incontriamo i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi, che ci chiedono di dargli da mangiare, di condividere il pane delle loro sofferenze e di allietarli con il vino della consolazione e della gioia.
In questo senso ai sacerdoti compete un grande impegno: passare dalla celebrazione dell’Eucaristia al diventare Eucaristia! Una ritualità estranea ai desideri e ai bisogni dell’uomo corrompono la sublimità e la nobiltà della celebrazione vera dell’Eucaristia. Dalla comunione eucaristica si passa alla condivisione della vita.
In quest’ottica vogliamo leggere la processione che per antica tradizione si vive il giorno del Corpus Domini. Gesù vivo e vero che passa lungo le vie delle nostre comunità, tra i quartieri dove viviamo, si fa pellegrino e compagno di viaggio. Lo accoglieremo con gioia nei nostri cuori, chiedendogli come Zaccheo di fermarsi a casa nostra, invitandolo a cena come i due discepoli di Emmaus per fermarsi e rimanere con noi.
La comunione con Lui indebolisca i nostri malsani desideri di sentirci schiavi dell’io a discapito del “noi e lo Spirito”, come ci insegna la testimonianza della chiesa primitiva. Le nostre celebrazioni tornino alla semplicità e alla devozione del cenacolo del Giovedì Santo, dove il grembiule di Gesù offre la più preziosa catechesi sul senso della nostra vita che dall’Eucaristia trova la forza per vivere nell’ottica del servizio. Gesù non annuncia l’amore come se fosse una idea astratta, il suo è un amore incarnato e credibile, che ha il nostro volto, la nostra storia, i nostri nomi.
A tutti rivolgo l’invito a non rischiare di separare il sacramento dell’altare dal sacramento del fratello, il sacramento dell’Eucaristia dal sacramento del povero. L’umanità ha bisogno di essere abbracciata, e molto di più quando è ferita, sminuita, soffocata dall’esclusione, reclusa nella negazione dei propri diritti, privata della dignità del lavoro, non accolta nelle realtà ecclesiali. Così scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium al n° 49: “Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37).
Ci auguriamo, sotto lo sguardo di Maria, Donna Eucaristica, che la Solennità del Corpus Domini diventi un invito concreto affinché essa plasmi la vita di tutti noi, sacerdoti e laici!
«A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 1,5-8).

San Marco Argentano, 11 giugno 2023

+Stefano, Vescovo

 

Messaggio in occasione del Corpus Domini

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