Omelia di mons. Rega celebrazione del suo 30° anniversario sacerdozio

Carissimi,
in questa solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, in questa amata chiesa diocesana di San Marco Argentano-Scalea, dove il Signore mi chiama ora a servirlo, elevo il mio grazie per il dono del Sacerdozio ricevuto nella Cattedrale di Aversa dal Vescovo Mons. Chiarinelli trent’anni fa. E ancora con voi rendo grazie al Signore per questi giovani che hanno risposto alla chiamata e a cui questa sera la Chiesa consegna la parola e l’eucaristia.
Questa sera, è un’occasione importante per dire grazie al Signore e a tutti coloro che mi hanno accompagnato in questi anni, ma ogni giorno che celebro la messa, come ogni sacerdote, alla preghiera eucaristica ripeto con emozione e trepidazione il mio grazie con la formula: ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale.
Trent’anni, quanti ricordi, quanti luoghi, quante persone, quanta grazia, quanti doni, quante volte il centuplo ha sovrabbondato sul poco che ho dato o lasciato. Quante occasioni per crescere, per maturare, per rafforzarmi, quanta gioia, quanta giovinezza, quanta passione, quanto entusiasmo il Signore mi ha donato.
In questi giorni pensando a questo anniversario, mi veniva in mente la frase che riportai sull’invito dell’ordinazione, una frase di Paolo VI scolpita nel marmo fuori la cappella del Seminario e che leggevo e rileggevo ogni volta che entravo e uscivo dalla cappella: La chiamata di Cristo è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce.
Mi sono formato con questa idea di chiamata, dove si chiedere di essere forti, ribelli alla mediocrità, con il dovere di rigenerare la vita ecclesiale anche pagando di persona e portando la croce.
Tutto questo in compagnia dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nella cui solennità fui ordinato sacerdote. Le due colonne su cui poggia la fede apostolica della nostra Chiesa. Paolo l’apostolo instancabile come nella persecuzione, così nell’evangelizzazione e Pietro, l’umile pescatore che fa i conti con i suoi limiti, che piange, che fa promesse e che riconosce le sue povertà.
Abbiamo ascoltato nella Prima lettura come Pietro viene imprigionato dal re Erode, per far piacere ai Giudei che lo odiavano e lo volevano morto. Ma, nella notte, prima di essere presentato al popolo, viene liberato da un angelo sfolgorante, mentre dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. Appena liberato così si esprime: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva» (At 12, 11). Paolo, l’apostolo delle genti, invece, sta per essere decapitato. Lo ammette con straordinaria forza: «Io sto per essere versato in offerta… Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede”. Pietro e Paolo attribuiscono a Dio la loro liberazione. Dio libera i suoi discepoli da ogni male, dalla persecuzione, dalla prigionia e dalla stessa morte che essi subiscono.
Ancora oggi la Chiesa è soggetta a persecuzioni. In tante parti del mondo è Chiesa di martiri e per noi credenti che vogliamo vivere per il bene e per la giustizia, ci viene offerta una grande consolazione: Dio è vicino ai suoi fedeli servitori, li libera da ogni male, libera la Chiesa dalle potenze degli inferi dal momento che Gesù ha confermato con la sua parola che esse “non prevarranno”.
In questa Solennità quindi ci troviamo a condividere i doni grandi che il Signore ci chiede di consegnare nelle sue mani: il dono del sacerdozio e quello dei ministeri istituiti.
Sento – come per il popolo di Israele – la sua voce che risuona nel mio cuore: “Ricordati di tutto il cammino che il tuo Dio ti ha fatto percorrere per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi”. Mi sento consolato, insieme a Pietro perché so di poter confidare nel Dio che scioglie le catene. Mi rifugio nell’esempio di Paolo a cui Dio gli confida il segreto per riuscire nonostante le fatiche e le difficoltà del ministero: “Ti basta la mia grazia!”.
La giornata vissuta con i ministranti questa mattina ha segnato il mio e il vostro desiderio, di una ripartenza per l’impegno fattivo alla promozione vocazionale attraverso la presenza del Seminario, quale luogo privilegiato per scoprire la propria vocazione. La testimonianza dei seminaristi qui presenti, dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, possa suscitare nei nostri giovani, risposte mature per una sequela felice e coraggiosa.
In questo contesto eucaristico celebriamo anche la consegna dei ministeri del Lettorato e dell’Accolitato. Il lettorato ai seminaristi Giovanni e Giuseppe. A voi sarà richiesto di proclamare con franchezza la Parola di Dio nell’assemblea liturgica, a partire da un assiduo ascolto delle Scritture. Avrete cura di preparare l’assemblea ad ascoltare e i lettori a proclamare con competenza e sobria dignità la Parola. Il vostro impegno sia quello di suscitare nel cuore dei credenti l’obbedienza alla Parola perché ascoltandola possano penetrarla e incarnarla nella loro vita. L’accolitato ai seminaristi Mattia e Giuseppe. A loro si unisce l’accolitato di Francesco Saverio Nudi, laico impegnato nella Parrocchia “Immacolata Concezione” in Fagnano Castello. Agli accoliti si chiede di servire all’altare, dove il pane e il vino diventano i doni eucaristici per la potenza dello Spirito Santo e dove i fedeli che se ne nutrono, diventano in Cristo un solo Corpo. Agli accoliti compete anche il servizio della distribuzione della Comunione nella e fuori la celebrazione eucaristica, con particolare dedizione ai fratelli e sorelle infermi. La Parola di Dio e il dono dell’Eucaristia sono le due mense che questa sera risplendono di solennità per i ministeri che affidiamo a questi nostri fratelli. Alle loro famiglie e alle comunità di origine rivolgiamo il nostro ringraziamento e imploriamo effusioni di grazie celesti.
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato Pietro vive un momento significativo per il suo cammino spirituale nei pressi di Cesarea di Filippo, quando Gesù pone ai discepoli la domanda precisa sulla sua identità: «Chi dice la gente che io sia?» Ma soprattutto quando Gesù vuole sentire una risposta da chi ha accettato di coinvolgersi personalmente con Lui: «E voi chi dite che io sia? È Pietro a rispondere anche per conto degli altri: «Tu sei il Cristo», cioè il Messia. Pur avendo dato una risposta formalmente esatta, l’Apostolo non aveva ancora capito il profondo contenuto del compito messianico di Gesù. Pietro nei suoi pensieri insegue il sogno di un Messia liberatore terreno. Aveva il desiderio che il Signore imponesse la sua potenza e trasformasse subito il mondo. Davanti all’annuncio della passione si scandalizza e protesta, suscitando la vivace reazione di Gesù: «Rimettiti dietro di me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Pietro impara così che cosa significa veramente seguire Gesù. Ne viene un grande insegnamento per noi. Anche noi abbiamo il desiderio di Dio, vogliamo essere generosi, ma ci aspettiamo anche che Dio sia forte nel mondo e lo trasformi subito secondo le nostre idee, secondo le urgenze che noi vediamo. Dio, invece, sceglie un’altra strada, che non è quella della forza che si impone. Egli sceglie la via della trasformazione dei cuori nella sofferenza e nell’umiltà. È la via della croce.
Come Pietro siamo chiamati a cambiare mentalità, a convertirci, a non opporci alla profezia della croce. Impariamo a seguire Gesù senza desiderare di precederlo, mettendo davanti noi le nostre vedute, i nostri progetti, le nostre aspettative. È Lui la Via, La Verità e la Vita.
Questa sera vorrei consegnare in particolar modo a voi seminaristi, la testimonianza di una grande sacerdote calabrese, il Beato Francesco Mottola, salito al cielo proprio oggi, il 29 giugno del 1969. E che ho conosciuto stando nei giorni scorsi a Briatico con i Fratelli sacerdoti per alcuni giorni di fraternità e di programmazione. Entrato undicenne nel Seminario vescovile di Tropea, fu ordinato sacerdote il 5 aprile 1924, dopo la sua formazione teologica presso il Seminario San Pio X di Catanzaro. Egli si dedicò a varie forme di apostolato, tra cultura e carità, fondando la Famiglia degli Oblati del Sacro Cuore e degli Oblati laici. La sua dedizione ai “nessuno del mondo” – come soleva definirli – fu la più bella testimonianza di donazione sacerdotale che seppe incarnare con profondo amore. A lui si deve la fondazione della Case di Carità, la prima delle quali a Tropea. In esse si accoglievano bambini, poveri, anziani e disabili, fornendo assistenza e cure adatte a ciascuno. Il suo apostolato per le vocazioni si espresse con lungimiranza profetica negli anni in cui fu chiamato ad esercitare la missione di Rettore del Seminario di Tropea. Sapeva accogliere e valorizzare le vocazioni, suscitando nei giovani il desiderio di donarsi alla chiamata per il Regno dei Cieli. La sua vita divenne perfetta immagine dell’Eucaristia quando fu chiamato dal Signore ad abbracciare la pesante croce di una malattia degenerativa che lo costrinse ad una lenta paralisi degli arti e alla privazione totale della voce. Non smise, tuttavia, di celebrare messa e di donarsi alla chiesa nella partecipazione alle sofferenze di Gesù crocifisso.
Facciamo nostri gli esempi e le testimonianze di vite dei Santi Pietro e Paolo, del Beato Francesco Mottola; facciamo nostra la promessa di Gesù Cristo! Il Signore è sempre con i suoi discepoli per salvarli. Con il suo amore li rigenera e li trasfigura. La condizione perché tutto questo avvenga è una sola: essere, come Pietro e Paolo, di Cristo, vivendolo, donandolo. Essergli, cioè, fedeli sino alla morte, per poter dire anche noi: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede». Lasciamoci costruire come suo Corpo, nell’unità e nella comunione. Nutriamoci alla sua mensa eucaristica, per avere la sua forza di amare.
Il mio grazie a Dio, alla Chiesa e a tutti coloro che con pazienza e amore mi hanno accompagnato, il mio grazie oggi lo voglio dire in particolare a ogni sacerdote di questa diocesi e a tutti voi chiedo di unirvi a me in questo rendimento di grazie con le parole di Papa Francesco in occasione del 160° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars:
grazie per la vostra fedeltà agli impegni assunti. È veramente significativo che, in una società e in una cultura che ha trasformato “il gassoso” in valore ci siano delle persone che scommettano e cerchino di assumere impegni che esigono tutta la vita.
Grazie per la gioia con cui avete saputo donare la vostra vita, mostrando un cuore che nel corso degli anni ha combattuto e lottato per non diventare angusto ed amaro ed essere, al contrario, quotidianamente allargato dall’amore di Dio e del suo popolo
Grazie perché cercate di rafforzare i legami di fraternità e di amicizia nel presbiterio e con il vostro vescovo, sostenendovi a vicenda, curando colui che è malato, cercando chi si è isolato, incoraggiando e imparando la saggezza dall’anziano, condividendo i beni, sapendo ridere e piangere insieme.
Grazie perché celebrate quotidianamente l’Eucaristia e pascete con misericordia nel sacramento della riconciliazione, senza rigorismi né lassismi, facendovi carico delle persone e accompagnandole nel cammino della conversione verso la nuova vita che il Signore dona a tutti noi.
Grazie perché ungete e annunciate a tutti, con ardore, “nel momento opportuno e non opportuno” il Vangelo di Gesù Cristo
Grazie per tutte le volte in cui, lasciandovi commuovere nelle viscere, avete accolto quanti erano caduti, curato le loro ferite, offrendo calore ai loro cuori, mostrando tenerezza e compassione come il Samaritano della parabola (cfr Lc 10,25-37). Niente è così urgente come queste cose: prossimità, vicinanza, essere vicini alla carne del fratello sofferente.
Grazie ancora miei cari sacerdoti per i giorni trascorsi insieme a Briatico, grazie per la vostra testimonianza di comunione, di allegria, di preghiera, di passione pastorale, sono stati l’occasione più bella per preparami a questa celebrazione per l’anniversario della mia ordinazione sacerdotale
A voi sacerdoti e a tutti voi qui convenuti per condividere questo momento di gioia, grazie.
Concludo con le parole del salmo 131 che faccio ancora mie come nel ringraziamento trent’anni fa:
Signore, non si inorgoglisce il mio cuore
e non si leva con superbia il mio sguardo;
non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze.
Io sono tranquillo e sereno
come bimbo svezzato in braccio a sua madre,
come un bimbo svezzato è l’anima mia.
Speri Israele nel Signore,
ora e sempre.
 

† Stefano Rega, Vescovo

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